Le collezioni del Museo Arcivescovile – 6

Le collezioni del Museo Arcivescovile/6

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 37/2011
 
La Pinacoteca del Museo Arcivescovile di Ravenna
Il nuovo allestimento museale, inaugurato il 6 febbraio del 2010, accoglie per la prima volta nella storia delle collezioni una serie di dipinti. Al secondo piano, nella grande sala centrale, si è venuta così a creare una sorta di Pinacoteca.
Alcuni tra i dipinti esposti, il quadro del pittore ravennate Luca Longhi o la pala di Baldassarre Carrari, erano già noti alla critica e ne conosciamo la storia talvolta complessa; di altri, come le tele che riferiscono gli episodi della storia biblica di re Salomone (1 Re 3, 16-28) e del trionfo di Davide (1 Sam 17) o la deposizione di Cristo dalla croce, abbiamo meno notizie circa l’autore, la cronologia e la loro originaria collocazione.
Il ritrovamento della vera croce di Cristo
La pala d’altare che vediamo esposta all’interno del Museo narra il ritrovamento della vera croce di Cristo. La leggenda vuole che sia stata la regina Elena, madre dell’imperatore Costantino, andata in pellegrinaggio a Gerusalemme a ritrovare il sacro legno.
Scrive Teodoreto di Ciro, vescovo siriano del V secolo, nella Storia Ecclesiastica:
«Quando [la regina Elena] vide quel luogo che aveva accolto la passione della comune salvezza, subito comandò che fosse abbattuto quell’abominevole tempio ed eliminato quel cumulo di terra. Quando venne alla luce il sepolcro nascosto, apparvero alla vista, presso la tomba del Signore, tre croci sparse. Che una di esse fosse quella del nostro Signore e Salvatore, mentre le altre erano dei ladroni crocifissi con lui, lo credevano tutti senza incertezza. Tuttavia ignoravano quale avesse sostenuto il corpo del Signore e accolto il flusso del suo prezioso sangue. Ma quel sapientissimo e veramente divino Macario, vescovo della città, risolse la difficoltà con questo accorgimento:poichè una donna illustre era affetta da una lunga malattia, accostò ad essa, pregando con fervore, ciascuna delle croci e conobbe la potenza di quella salvatrice; avendola, infatti, avvicinata alla donna, ne scacciò la grave malattia e la rese sana ».
La tela appartiene all’ultima produzione del pittore ravennate Luca Longhi. La firma dell’autore e la data di esecuzione, il 1580, lo stesso anno della morte dell’artista, sono notizie che apprendiamo dall’iscrizione dipinta al centro del quadro sulla barella che regge il morto tornato in vita.
Varie sono le tradizioni legate al racconto dell’inventio crucis. Luca Longhi segue quella dove, al posto della donna, un giovane defunto viene accostato alla croce di Cristo e da essa riceve la vita.
La lunetta e la pala di Baldassarre Carrari.
La lunetta e la pala qui esposte solo ultimamente sono state entrambe attribuite a Baldassarre Carrari (Forlì, attivo dal 1489 al 1516) e ritenute parti di una unica pala d’altare. L’attuale allestimento museale vuole rendere conto proprio di questo, riunendo insieme le due tavole che per secoli erano state separate. Risale infatti al 1605, da un documento di Sacra Visita, l’ultima attestazione che le vedeva riunite sull’altare di San Matteo in Duomo.
Prima dell’attuale collocazione esse erano esposte entrambe in Duomo, ma in luoghi diversi. La pala era esposta in sacrestia, non visibile ai più, mentre la lunetta era conservata nel Coretto d’inverno, una piccola cappella accanto alla sacrestia, prima del transetto.
La lunetta presenta il compianto sul Cristo morto, scena che non trova immediata corrispondenza nel racconto evangelico della passione, bensì nasce dalla devozione cristiana che medita sul mistero della sofferenza e della morte di Gesù. La Madre e l’evangelista Giovanni piangono il Cristo, un corpo rigido e disarticolato, prima che sia adagiato nel sepolcro. Nei loro volti è tutto il dolore e lo sgomento per una morte e una sofferenza così ingiuste. In lontananza, sullo sfondo, è raffigurata la città di Ravenna, dove, riconoscibile, è il Mausoleo di Teoderico.
La pala propone una sacra conversazione. Al centro della tavola è la Vergine Maria in trono tra i santi Matteo e Caterina alla destra, e i santi Apollinare e Barbara alla sinistra. 
Matteo in quanto evangelista è rappresentato con la penna e il libro, Caterina d’Alessandria, santa del IV secolo, oltre alla palma simbolo del martirio è accompagnata dalla ruota dentata, strumento della sua passione. Sant’Apollinare, primo vescovo di Ravenna nel II secolo, veste gli abiti episcopali con mitria e pastorale e Santa Barbara, martire del IV secolo, oltre alla palma, regge una torre a ricordare il luogo nel quale il padre l’aveva rinchiusa.
La visione di Sisto III.
Questa tela di Felice Giani (1758-1823), uno dei massimi esponenti del neoclassicismo, presenta la visione di Papa Sisto III come ci viene narrata da Andrea Agnello nel Liber Pontificalis. Il Pontefice, in sogno, avrebbe visto San Pietro e Sant’Apollinare i quali gli avrebbero chiesto di eleggere come vescovo di Ravenna il diacono imolese Pietro Crisologo.
‘Durante la notte al santo Sisto, vescovo di Roma, apparve in visione il beato apostolo Pietro, clavigero di Cristo, insieme col suo discepolo Apollinare e in mezzo a loro stava il beato Pietro Crisologo; avvicinandosi un poco il beato apostolo Pietro disse al santo papa Sisto: ‘Osserva l’uomo che sta in mezzo a noi e che noi abbiamo eletto: consacra questo e non un altro. Perciò il papa, destatosi, subito di buon mattino ordinò che fosse introdotta tutta la gente con l’uomo che doveva essere consacrato’.
Sisto III è raffigurato seduto sulla cattedra episcopale, dove ha la visione di Pietro che gli compare tra le nubi e gli indica il giovane inginocchiato ai suoi piedi mentre Sant’Apollinare posa la mano  destra sulla spalla del Crisologo a conferma delle parole di Pietro.
La sapienza di Re Salomone.
Il quadro, di cui non conosciamo l’autore e l’originaria collocazione, riporta fedelmente un episodio narrato al capitolo terzo del primo libro dei Re (versetti 16-28), in cui viene messa in luce la sapienza di Salomone, quella sapienza che Salomone stesso aveva chiesto a Dio (1 Re 3, 9).
Un giorno vennero dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: “Perdona, mio signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre lei era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c’è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché lei gli si era coricata sopra. Ella si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco, mentre la tua schiava dormiva, e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il suo figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho osservato bene al mattino; ecco, non era il figlio che avevo partorito io”. L’altra donna disse: “Non è così! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto”. E quella, al contrario, diceva: “Non è così! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo”. Discutevano così alla presenza del re. Il re disse: “Costei dice: “Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto”, mentre quella dice: “Non è così! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo””. Allora il re ordinò: “Andate a prendermi una spada!”. Portarono una spada davanti al re. Quindi il re aggiunse: “Tagliate in due il bambino vivo e datene una metà all’una e una metà all’altra”. La donna il cui figlio era vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: “Perdona, mio signore! Date a lei il bimbo vivo; non dovete farlo morire!”. L’altra disse: “Non sia né mio né tuo; tagliate!”. Presa la parola, il re disse: “Date alla prima il bimbo vivo; non dovete farlo morire. Quella è sua madre”. Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunciata dal re e provarono un profondo rispetto per il re, perché avevano constatato che la sapienza di Dio era in lui per rendere giustizia‘.
 
Giovanni Gardini
Commissione d’Arte Sacra Diocesana
giovannigardini.ravenna@gmail.com
 
ARTICOLI CORRELATI:
Museo Arcivescovile: storia e collezioni