La Veglia missionaria

La Veglia missionaria
 
     
Se avesse fatto una delle sue improvvise visite al Duomo di Ravenna, venerdì sera, certamente papa Francesco avrebbe detto: ‘Bravi! E’ questa la Chiesa che mi piace, gioiosa e capace di comunicare e coinvolgere!’.
Le nuove tecnologie al servizio di un nobile fine: educare alla fede.
 
Una Veglia missionaria vissuta con partecipazione, caratterizzata da un senso di attesa per quell’aria nuova che si respirava sin dall’inizio della Marcia, sul sagrato della Chiesa di San Rocco.
 
La presenza del Vescovo, l’attenta regia di don Stefano, le voci dei giovani della Pastorale missionaria, con i canti che hanno accompagnato il lento fluire della processione lungo le strade della Ravenna di sera, rischiarata da qualche finestra aperta.
 
Passi affaticati di adulti, sostenuti dal passo sicuro dei giovani, che hanno animato le tappe, con i testi da loro scelti per i temi della riflessione.
 
I tappa: la Contemplazione. Al salmo 117 hanno fatto eco le parole di Annalena Tonelli.
 
II tappa: Vocazione. Ha avuto come segno una scenetta in cui Dio chiama qualcuno e questa persona sceglie liberamente di seguirlo o meno. Il passo della lettera ai Corinzi è stato reso più attuale dalla testimonianza di un giovane che è diventato missionario comboniano, dopo aver ascoltato una frase durante una condivisione al campo GIM di Firenze. ‘La mia vita è un vuoto. Non un vuoto a perdere ma un vuoto a riempire’  Per me l’essere consacrato interamente per Dio e per la missione, vuol dire credere e sperimentare che quel vuoto a riempire trova senso e bellezza nel rapporto con Dio.
 
III tappa: Responsabilità. Durante il percorso ci si è passato il Vangelo per invitare il prossimo ad evangelizzare, come dice Paolo. La meditazione è stata improntata sulle parole di Don Andrea Santoro: ‘C’è bisogno di chi crede profondamente nel dialogo, nell’unità e nella comunione e se ne assuma, corpo ed anima, il peso e la fatica. C’è bisogno di cercarci per parlarsi, conoscersi, capirsi”.
 
IV: La tappa in Duomo sulla Carità è stata particolarmente suggestiva, perché su ispirazione del Vangelo di Giovanni, ci siamo tenuti tutti per mano, come segno di unità ascoltando le parole di Madre Teresa.
Confortati da questo contatto umano ci siamo trovati davanti alla porta del Duomo, dove abbiamo visto tante persone intorno a noi, in attesa di iniziare il Cammino con la Parola.
 
Il Deuteronomio ed il Salmo 139: ‘Signore, tu mi scruti e mi conosci’ hanno penetrato i nostri pensieri ed hanno fatto apparire ‘la notte chiara come il giorno’.
 
All’improvviso volti di bimbi, scene di vita nei vari continenti, panorami di una struggente bellezza, immagini paradisiache proiettate sugli schermi, accanto all’altare, con musiche in sottofondo, hanno squarciato la penombra del luogo.
 
Presentato da Don Stefano, si è presentato a noi un giovane prete, don Gaetano Borgo, direttore del C.M.D. di Padova. Col suo travolgente eloquio ci ha interpellati direttamente: ‘Cosa vuole il Signore da me?’.  Ciascuno di noi deve considerare la sua chiamata. Egli non è riuscito a trattenere la sua coscienza missionaria e compie il suo annuncio attraverso la canzone.
 
Sullo schermo scorrevano le immagini di Assisi, San Jacopo di Compostela, la Madonna di Guadalupe, mentre le parole dei canti di don Gaetano narravano: ‘quanti nomi, quante storie lungo quel cammino, umili cuori nella mani, tutti felici come possiamo esserlo anche noi, se sappiamo visitare il santuario più bello che è il nostro cuore’.
 
Dolcemente, accompagnati da queste parole, ciascuno di noi ha fatto un percorso ideale all’interno del repertorio canoro di don Gaetano: ‘Confiderò nell’impossibile e poi lo sguardo alzerò’ Io vivrò nell’immensità, dolce vento mi appoggerai’.
Dobbiamo avere occhi nuovi per abitare il mondo. Le vocazioni non sono un atto di propaganda, ma nascono lì dove c’è terreno fertile di famiglie e comunità cristiane. Poter andare e distendere le ali – ha proseguito con calore – poter aprire le finestre delle nostre parrocchie, delle nostre famiglie, di questa nostra città percorsa al buio, che può essere un fuoco da accendere subito.
 
Ma soprattutto, ricordando il Papa, scoprire lo stupore dell’incontro con Cristo. ‘Mettiamo fuori i doni, apriamoci, guardiamo oltre, fermiamoci per raccontare il Vangelo’.
 
Ed al suo invito: ‘In alto le mani! Cantate!’ la risposta è stata corale, preannuncio di quella gioia che don Stefano ci ha sollecitato ad esprimere.
 
Questo tema è stato richiamato dal Vescovo, che ha ribadito il valore della missionarietà come atteggiamento che tutti possiamo avere, perché siamo chiamati ad uscire fuori senza paura e tanti ci aspettano, senza saperlo.
 
La missione non è una privazione, più si dà più ci si arricchisce, soprattutto nel contatto con altre Chiese, perché si impara come si vive diversamente la fede. ‘Prima o poi anche la nostra diocesi deve spingersi oltre i confini del proprio territorio. La nostra Chiesa ha bisogno di essere missionaria qui, in questa terra dove molti si sono allontanati, e per esserlo qui, dobbiamo esserlo ad gentes’.
 
Confortati e col cuore colmo di gioia per lo ‘stupore’ della Veglia, pregheremo con i nostri umili cuori nella mani perché questo si avveri.