Il Vangelo di Natale
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 47/2012
Santo Natale
Messa del giorno
Is 52, 7-10
Salmo 97
Eb 1, 1-6
Gv 1, 1.18
Commento a cura di Don Christian Cerasa, Parroco di San Vittore
A Natale la Chiesa ci ripropone il Prologo del IV vangelo, mirabile sintesi del mistero dell’Incarnazione, preoccupata forse di non lasciarci disperdere in emotività, ma di farci ritornare al significato teologico ed esistenziale del Natale. ‘In principio..’: sì, è necessario risalire alla sorgente, nel seno stesso della Trinità, per cogliere tutto lo spessore di fatti che a occhio umano appaiono tanto poveri e disadorni come lo era la grotta che accolse il Bambino Gesù a Betlemme. Scopriremo la preesistente grandezza divina di quel Figlio di Maria e al tempo stesso la sua condiscendenza fino a noi per arricchirci della sua divinità. San Giovanni parlando del Verbo ‘che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’, rievoca un segno biblico molto eloquente, quello della tenda che Dio stesso aveva posto tra le tende del suo popolo in cammino verso la terra promessa: era la sua presenza, la ‘Gloria di Jahvè’, la santa dimora dell’Altissimo. A dirci che ora il nuovo tempio è questo bambino Gesù che nasce, la sua fragile carne, nella quale ‘abita tutta la pienezza della divinità in un modo fisico’ (Col 2, 9); egli è ‘l’Emanuele, Dio con noi’ (Mt 1, 23). Prima di questo evento nella storia, dall’eternità ‘il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio’; precede da sempre ogni cosa creata, anzi ‘tutto è stato fatto per mezzo di lui’. E’ lui la sorgente d’ogni vita, ‘la luce vera che illumina ogni uomo’. Dirà Giovanni Battista: ‘Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me’. La sua casa vera è ‘nel seno del Padre’. Ne è come la controfigura, ‘irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza’ (Eb 1, 3), così che rendendosi visibile ne rappresenta la più perfetta immagine (Col 1, 15). Testimonia san Giovanni che gli aveva vissuto assieme per tre anni: ‘Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità’. ‘E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’. Carne qui significa non solo che ha assunto la nostra vera e concreta umanità, ma che ha condiviso in pieno con noi la stessa vicenda di fatica, di sofferenza e di morte. Dice il Concilio: ‘Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo: s’è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato’ (GS 22). Dalla sua preesistenza divina venne a noi senza risparmiarsi: ‘Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce’ (Fil 2, 6-8). ‘E dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia’: Dio viene a noi nella storia, si rivela per comunicarsi, ‘perché gli uomini abbiano accesso al Padre e siano resi partecipi della divina natura’ (DV 2). Era sempre stato questo il sogno di Dio: ‘in Lui infatti ci ha scelti prima della creazione del mondo, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo’. Solo che l’uomo a tale dono e destino stranamente dice di no: ‘La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta; il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto’. E’ il mistero del nostro peccato, quale rifiuto della nostra più vera identità e grandezza. ‘A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo – cioè per sola capacità umana – ma da Dio sono stati generati’. ‘Dio si fa uno di noi per fare ognuno di noi uno di lui’ (Sant’Ireneo). Troppo grande è il dono di Dio e a noi sembra così lontano, forse perché pensiamo che dipenda da una nostra conquista o da un nostro sforzo. E invece è completamente gratuito; a noi spetta solo riconoscerlo, stimarlo e accoglierlo. ‘Riconosci allora, o cristiano, la tua dignità’ (San Leone Magno). Ecco la grazia da chiedere e l’augurio da farci in questo tempo natalizio: conoscere di più il mistero di Cristo per conoscere di più l’identità profonda dell’uomo. Ce lo suggerisce San Paolo: ‘Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi’ (Ef 1,18-20). Corrispondere e vivere un tale progetto di vita significa realizzare la nostra più autentica umanità: ‘Chi segue infatti Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo’ (GS 41). Quanto più si cresce in divinità, tanto più si cresce in umanità!