Il Museo Arcivescovile di Ravenna, appunti di storia/2
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 7/2011
Il pavimento musivo della basilica ursiana
Nel precedente intervento (n. 3 del RisVeglio Duemila, 22 gennaio 2011) si é brevemente trattata la storia degli allestimenti del Museo Arcivescovile dal Lapidario Farsetti sino all’ultimo intervento inaugurato lo scorso anno, il 6 febbraio 2010. Già è stato illustrato lo stretto rapporto che intercorre tra il Museo e la Basilica Ursiana e come proprio dallo smantellamento sistematico del pavimento della Cattedrale e dal riconoscimento da parte di Domenico Vandelli dei materiali antichi che lo costituivano, si sia giunti al primo nucleo della collezione; tuttavia credo sia importante richiamare ancora alla mente, partendo proprio da questi fatti, qualche aspetto introduttivo che possa da un lato precisare meglio il quadro di insieme, dall’altro entrare nel vivo della raccolta museale.
Continuando a parlare del pavimento della Basilica Ursiana va ricordato il frammento musivo conservato nella Sala dei mosaici e della Vergine orante, ora al secondo piano del Museo. Questo lacerto di mosaico pavimentale di V secolo proviene dall’Ursiana e fu rinvenuto durante i lavori settecenteschi per la costruzione della nuova Cattedrale.
Nel primo volume della Metropolitana di Ravenna l’Amadesi racconta in modo vivace la cronaca del ritrovamento dell’originario pavimento musivo del quale il Buonamici realizzò un disegno per esporlo ‘alla curiosità degli antiquari‘ perché quel pavimento ‘tale e quale furono a lasciare costretti, tanta era la copia dell’acqua, che vi rigurgitava da ogni parte‘.
Leggiamo alle pagine XII e XIII:
‘Anche il pavimento dell’antica Basilica spirava magnificenza. Di esso veramente né Agnello, né il Rossi, né altri storici hanno fatta ricordanza, o descrizione alcuna; e quello, che fino a’ nostri giorni è durato, non era l’antico; ma eccovi come del primo si è da noi avuta conoscenza. Indizi molti si avevano dell’innalzamento dell’antica Basilica. Cadde perciò in pensiero all’Arcivescovo Farsetti, allora che egli dié la mano al risorgimento dell’augusta Basilica, di tentare la scoperta del vecchio pavimento, e vedere se a caso fosse intatto rimasto. Riuscì felicemente il tentativo, e fu il ricercato pavimento trovato, e scoperto sedici palmi romani sotto il moderno piano della nuova chiesa, estrattane a costo di lunga, ed incessante industria l’acqua, che nella profonda buca, a tal’effetto cavata, a torrenti scaturiva. Lo videro fra gli altri il celeberrimo Eustachio Manfredi, e il matematico della Reppublica Veneta Bernardino Zendrini, i quali allora in Ravenna trattenevansi a perfezionare la vasta opera della diversione dei due fiumi Ronco, e Montone; e seco loro lo vide, ed anzi ne disegnò quella parte che se ne scoprì, il Cavalier Buonamici architetto della nuova fabbrica’.
Il disegno che il Buonamici ci ha lasciato risulta essere più ampio di quanto sia il frammento ora esposto; va aggiunto che oltre alla riproduzione del mosaico conservato al Museo egli ci ha restituito la riproduzione grafica di un’altra tipologia decorativa dell’antico pavimento.
Il mosaico, ora esposto in una vetrina, presenta una decorazione a treccia, tipologia ornamentale usata frequentemente nei pavimenti romani e paleocristiani. I filari, costituiti all’interno da quattro file di tessere ciascuno, sono delimitati da un bordo scuro che esalta le diverse cromie presenti all’interno dell’intreccio.
Questo frammento è dunque una testimonianza preziosa dell’antico pavimento della cattedrale e va messo in relazione con altri lacerti musivi presenti a Ravenna che sono giunti sino ai nostri giorni: dai mosaici romani della Domus dei tappeti di pietra ai mosaici della cripta della Basilica di San Francesco, da quelli di San Vitale alle testimonianze presenti a Sant’Apollinare in Classe. Una tradizione, quella dei pavimenti musivi, che durerà nel tempo. Basti ricordare i mosaici medioevali della Basilica di San Giovanni Evangelista.
Vi è, in Duomo, una significativa epigrafe settecentesca che ricorda gli scavi voluti dal Farsetti ed eseguiti all’interno della Basilica al fine di rintracciare l’antico pavimento. In essa leggiamo come la quota originaria dell’Ursiana sia da rintracciare ad un piano di molto inferiore a quello attuale, ovvero a 16 palmi sotto il pavimento attuale, circa 3,55 metri.
Entrando dalla porta laterale sinistra, essa è posta alla base del primo pilastro a destra. Il testo risulta essere ancora ben leggibile nonostante l’umidità di risalita dal terreno stia rovinando l’incisione. In alcuni punti infatti si riscontrano crepe ed erosioni del marmo. Allo stato attuale solo una lettera, nella sesta riga dell’iscrizione, risulta irrimediabilmente compromessa ed illeggibile. Il testo compare edito nel primo volume della Metropolitana di Ravenna.
SUB HAC PLINTHIDE SUBTERQ NOVA HAEC LITHOSTROTA
INGENTIBUS FULTA TESTUDINIBUS AD ALTITUDINEM PALMORUM
ROMANORUM XVI AC INTER FLUMINUM ALLUVIONES LATE
RECONDITUR VETUSTISSIMUM PAVIMENTUM MUSIVO ET TESSELLATO
OPERE ORNATUM QUOD SUB AEQUORE DIURNI MARINI AFFLUXUS
PALM I UNC VII CUM SEMISSE DE [P] RIMI IPSUMQ SUPRA
LIBRAM IMI REFLUI MARIS PALM I UNC VII TOLLI EXPERIMENTO
COMPERTUM EST NEC MIRUM NAM PAVIMENTUM TEMPLI
EXTRA MUROS QUOD DIVAE MARIAE ROTUNDAE VOCANT
INFRA MARIS INFIMI SUPERFICIEM PALM V UNC III
DEMISSUM JACERE LIBELLA DEPREHENDITUR
EQUES JOANNES FRANCISCUS BONAMICI ARIMINENSIS
ARCHITECTUS M H P C ANNO AERAE VULGARIS
CIƆIƆQCXXXIIII
Sotto questo pilastro e sotto questo nuovo lastricato sostenuto da grandi arcate, alla profondità di 16 palmi romani e tra i depositi alluvionali dei fiumi, sta per ampio tratto nascosto l’antichissimo pavimento ornato a mosaico, che in seguito a verifica risulta sottostare un palmo e sette once e mezza al livello della marea giornaliera e sovrastare di un palmo e sette once il livello del massimo riflusso del mare. Questo non deve stupire, perché il pavimento della chiesa fuori le mura chiamata di S. Maria Rotonda viene misurato sottostante cinque palmi e tre once al livello più basso del mare. Il cavaliere Giovanni Francesco Buonamici, architetto riminese, fece porre questa memoria nell’anno dell’era volgare 1734 (traduzione di M. Pierpaoli).
A commento ulteriore va detto che la chiesa di Santa Maria della Rotonda è da identificarsi con il Mausoleo di Teodorico.
Ragionare sulle diverse quote pavimentali ci permette di comprendere la particolare situazione del sottosuolo ravennate. I pavimenti delle chiese, dei battisteri, dei monumenti, della città in particolar modo, hanno conosciuto diversi rifacimenti e manomissioni fin dall’epoca antica.
Rintracciare i piani di calpestio originari significa spesso scendere più di due o tre metri, chiede di ripensare i volumi delle architetture che si presentano agli occhi e di riflettere su come, nel tempo, sia cambiata la città.
Una nuova iscrizione
Il giorno della riapertura al pubblico del Museo Arcivescovile Sua Eminenza il Cardinale Ersilio Tonini ha scoperto la nuova iscrizione posta a fianco dell’ingresso. Il testo, composto da Don Giovanni Montanari, Direttore dell’Archivio Arcivescovile, rende conto della densità culturale del sito in cui il Museo si trova ad essere ed esplicita il nesso fondamentale tra vescovo, Episcopio e Cattedrale, o meglio il profondo rapporto che intercorre tra committenza e monumento.
MVSEVM DIOECESIS RAVENNATENSIS
IN ANTIQVO PALATIO ARCHIEPISCOPI INSTITVTVM
A SAECVLO QVARTO
VNA CVM ANTIQVISSIMO TABVLARIO
SAECVLI QVINTI
CVM MONVMENTIS CATHEDRALIS VRSIANAE
SAECVLI QVARTI
CATHEDRA EBVRNEA MAXIMIANI
ANTIQVA CRVCE ARGENTEA AD SOLLEMNES POMPAS
INSCRIPTIONIBVS PAGANIS ATQVE CHRISTIANIS PRISCAE
AETATIS
EX SEPVLCRETIS CIVITATIS CLASSIS
CVM MVSIVIS ORATORII ARCHIEPISCOPALIS
HVMANI GENERIS PATRIMONIVM
RESTITVTVM ET AVCTVM IN DIOCESI
ANNO MMX
A IOSEPHO VERVCCHI ARCHIEPISCOPO METROPOLITA
Il Museo della Diocesi ravennate posto nell’antico palazzo dell’arcivescovo di IV secolo, nel medesimo luogo dell’antichissimo Archivio di V secolo, con i monumenti della basilica Ursiana di IV secolo con la cattedra d’avorio di Massimiano e l’antica croce d’argento per le solenni processioni, e con le iscrizioni pagane e cristiane di età antica dal sepolcreto della città di Classe, con i mosaici della Cappella arcivescovile patrimonio dell’umanità, è stato restaurato e ampliato in Diocesi nell’anno 2010 dall’arcivescovo metropolita Giuseppe Verucchi.
Giovanni Gardini
Commissione d’Arte Sacra Diocesana
giovannigardini.ravenna@gmail.com
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