07/11/2013

Il Corso per Catechisti 2013

Il Corso per Catechisti 2013
 
      
 
Il 1° di ottobre, nel giorno della memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, a Ravenna è iniziato il Corso Diocesano per Catechisti e Animatori, promosso dall’Ufficio Catechistico.
 
La preghiera e il canto allo Spirito Santo ci hanno introdotti nell’ascolto e nella riflessione e, con le parole di San Paolo, le stesse che suscitarono anche in Santa Teresina la scoperta della sua vocazione: ‘Aspirate ai carismi più grandi e io vi mostrerò una via migliore di tutte’ (1 Cor 12, 31), abbiamo meditato sul servizio a cui siamo stati chiamati.
 
L’Arcivescovo, Mons. Lorenzo Ghizzoni, ci ha guidati in questa riflessione, sottolineando l’importanza del ruolo del catechista come educatore, oggi più che mai, la funzione principale di questo servizio, prendendo spunto anche da chi ha fatto dell’impegno educativo una missione.
 
La missione deve essere spinta da una passione, quella che dà valore alla relazione con i ragazzi, quindi all’ascolto, all’accoglienza, al cammino insieme e all’opportunità di fare proposte anche esigenti.
 
Nella riflessione dell’Arcivescovo, mi ha particolarmente colpito pensare e constatare che il cammino che condividiamo con i ragazzi, nel quale offriamo il nostro tempo, portiamo il nostro coraggio per raggiungere una meta, è veramente un intreccio di esperienze umane e spirituali, che provocano la libertà di tutti noi, quella libertà che viene continuamente educata dall’incontro con Dio, incontro che apre nuovi orizzonti.
 
E’ infatti l’incontro con Dio che rende il cammino un vero atto d’amore e gli educatori testimoni credibili, anche nei limiti della propria umanità, così come ci ha ricordato anche Papa Francesco, nel discorso fatto ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi, che in quella serata abbiamo avuto l’occasione di vedere ed ascoltare.
 
Il Papa sottolinea infatti l’importanza di ripartire sempre da Cristo, avere famigliarità con Lui, rimanere attaccati a Lui, ascoltarLo, imparare, lasciarsi guardare, lasciarsi amare; tutto questo ci dona la forza di uscire e andare incontro all’altro: un catechista non può rimanere fermo. Ripartire da Cristo significa anche non avere paura di rompere certi schemi per seguire Dio, perché Dio non è dentro agli schemi, va sempre oltre, anzi Lui ci precede sempre, cioè sarà già là, in quella situazione in cui siamo chiamati, nel cuore dei fratelli che ci stanno aspettando.
 
La situazione educativa
Il tema della situazione educativa è stato poi sviluppato da Maria Teresa Moscato nei successivi due incontri.
La prof.ssa con grande capacità ci ha introdotto nel tema da un punto di vista pedagogico, analizzando prima il quadro storico, sociale, che ha determinato alcuni fenomeni ed emergenze educative nel nostro tempo.
Nel corso della vita ogni uomo entra in relazione con una serie di persone adulte significative per la propria crescita, che vengono quindi a condividere e a trasformare quelle che sono le ‘mete educative’, presenti in ogni processo evolutivo, in ogni progetto di vita.
 
Se un tempo la presenza di certe regole sociali, di certi rituali e quindi il pensiero degli adulti che li sostenevano, erano parte determinante nel processo educativo, oggi la perdita di queste ‘mete comuni’ porta ad un certo disorientamento, per cui ci preoccupiamo solo di garantire la libertà individuale e da qui nasce l’idea che tutti i pensieri abbiano lo stesso valore.
 
Inoltre il processo educativo non ha più limiti nello spazio e nel tempo, come potevano essere per le generazioni passate, la famiglia, la scuola, il gruppo di amici, i rapporti generazionali, ma il sistema di comunicazione di massa ed il canale virtuale vengono ad influire in maniera determinante nel processo educativo, oltrepassando le mediazioni di quelli che possono essere considerati i ‘gruppi primari’ dell’educazione, portando anche ad una falsificazione dell’esperienza concreta, perché controllata comunque da qualcuno.
 
In questo quadro particolarmente difficile l’educazione religiosa deve tenere conto di questo bisogno educativo, offrendosi quindi come comunità di appartenenza, spazio con accoglienza e disponibilità reale.
 
Dobbiamo inoltre considerare che oggi sono sempre più frequenti situazioni di particolare delicatezza, in cui i ragazzi vivono la sofferenza di un conflitto coniugale, verso le quali ogni giudizio di tipo etico-religioso aggrava sicuramente il momento di sofferenza e quindi l’unico atteggiamento da tenere è quello del rispetto e della carità.
 
La prof. ssa Moscato ci ha relazionato su vari aspetti psicologici e pedagogici, dal punto di vista educativo, spiegandoci che ogni bambino nell’età evolutiva si identifica incosciamente con le persone adulte per lui più significative, quindi avviene una duplice identificazione con entrambi i genitori.
 
Il conflitto coniugale comporta conseguentemente, al di là delle apparenze, una sorta di combattimento, a livello psicologico associato a un senso di colpa, per cui spesso il ragazzo si attribuisce la causa del conflitto, pensando ‘sono sbagliato perché sono come loro’.
 
Da questi pensieri inconsci derivano spesso atteggiamenti di sfida anche nei confronti di altri adulti significativi e quindi, in generale, relazioni complicate.
 
Dobbiamo inoltre considerare che l’effetto dell”individualismo’ è stata la perdita dell’immagine della famiglia come realtà sociale, quindi la società moderna è diventata un’aggregazione di individui invece che, come in passato, una rete di famiglie, legate fra loro da un ‘patto di amore’.
 
L’esposizione della prof.ssa Moscato è stata molto ricca, profonda e ci ha fatto riflettere sui vari aspetti nascosti agli occhi dell’educatore, che invece devono essere considerati per una relazione costruttiva e non distruttiva.
 
I nuovi orizzonti
Don Valentino Bulgarelli nel quarto incontro ci ha parlato di alcuni temi catechistici ancora all’esame delle Conferenze Episcopali regionali, quindi di nuovi orizzonti che si affacceranno nella realtà di Chiesa italiana, partendo dall’analisi della situazione delle diocesi, che a volte fanno della proposta cristiana qualcosa di debole od incerto, proposte non chiare, sfumate che nel pensiero comune fanno presupporre che va bene un po’ di tutto.
 
Tutto questo può essere il frutto di una fede frammentata, di un sapere frammentato e quindi di comunicazioni errate, che portano a un’idea sbagliata della Chiesa, non considerata come segno evidente di un Dio che cammina insieme agli uomini e le donne di tutti i tempi, realtà misterica raccolta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.
 
 Inoltre a volte ci è difficile trasmettere l’etica e la morale cristiana, cioè far capire che non si tratta di costringere l’uomo dentro una serie di divieti, ma piuttosto di elevarlo ‘all’ennesima potenza’.
 
Questi i motivi di dover recuperare le finalità della catechesi, passando da una pastorale di conservazione a una pastorale di proposta, con una catechesi capace di nutrire, alimentare la proposta cristiana, valutando anche l’importanza di raccontare le ragioni dell’atto di fede e di trovare nuove forme espressive, che possano trovare spazio nella mente dell’uomo di oggi.
 
Il ricordo dei cinque minuti di esercizi spirituali a cui ci ha invitato Papa Francesco, nel giorno della sua elezione, oltre che della prima omelia all’inizio del suo pontificato, dove ci ha fatto riflettere sull’importanza di custodire ciò che Dio ci ha affidato, è proprio il punto di partenza di una nuova catechesi, cioè una catechesi capace di prendersi cura.
 
Prendersi cura vuol dire non rimanere in superficie e preoccuparsi prima di tutto dell’interiorità delle persone, arrivando al cuore, non preoccupandoci della forma, perché la forma arriva solo dopo la cura dell’interiorità, per imparare a lasciarsi abitare da Dio.
 
L’atto catechistico deve essere un percorso di crescita in umanità, che permetta di sperimentare la fede come risorsa di vera umanità, che porta alla capacità di fare delle scelte nella vita, nella consapevolezza di un Dio presente nella vita, che cammina con l’uomo.
 
Il linguaggio della ‘narrazione’ ci potrà aiutare in questi percorsi, narrazione di eventi vissuti e raccontati; la narrazione è infatti sempre qualcosa di fresco e di nuovo perché chiama in causa la tua vita, la vita cambiata da un incontro fatto. La narrazione del mistero di Dio è un intreccio di tre storie, la storia di Dio narrata a te, la tua storia che si è narrata a Dio e la storia di Dio e di te che si narra a qualcun altro.
 
Narrare per prendersi cura, per permettere a tutti di accedere alla fede, di crescere in essa e di testimoniare; ridare il ruolo di protagonista allo Spirito Santo, che è il motore della testimonianza, che permette ai bambini, ai giovani, agli adulti agli anziani di camminare insieme nella comunità.
 
E’ infatti l’azione dello Spirito che permette alla testimonianza di essere annuncio, all’annuncio di portare ad una conversione ed alla conversione di diventare professione di fede.
 
Comunicare tramite la narrazione
Il tema della narrazione è stato poi sviluppato dal relatore Marco Tibaldi nell’ultimo incontro, nel quale in modo vivace e molto coinvolgente abbiamo sperimentato personalmente gli effetti della comunicazione mediante la narrazione.
 
Dobbiamo un po’ riscoprire questo dono, ritornando alle origini, infatti in passato  è proprio con i racconti che veniva trasferita la fede, le famiglie o gli amici si riunivano per stare insieme, raccontando storie che si tramandavano di generazione in generazione. Attraverso un gioco di ruolo abbiamo provato a vivere direttamente una storia contestualizzata dal relatore, prendendo quindi parte alle decisioni che ogni situazione reale richiede, ma che spesso presenta un bivio o più strade fra cui bisogna scegliere; la storia si è poi rivelata un episodio della vita del re Davide, raccontata in chiave moderna e questo ci ha fatto ulteriormente provare che le storie narrate nella Bibbia, in verità possono essere le nostre storie, per questo ci coinvolgono personalmente. Raccontando questo episodio della storia di re Davide, con la stessa modalità, prendendovi quindi parte attivamente, valutando i vari possibili ‘bivi’ che si presentano ad ogni protagonista, abbiamo potuto guardare la vicenda con occhi diversi, sentendo anche gli stessi protagonisti più vicini a noi e per questo rendendoci conto dell’assoluta imprevedibilità ma soprattutto della grandezza dell’intervento di Dio.
 
La narrazione ci tocca così da vicino in quanto ci prepara alla vita indirettamente, facendoci entrare nella storia di un altro, ci fa rielaborare e purificare il passato, ci fa giocare al presente potendo scegliere ai bivi, immaginando il futuro, coinvolgendo i nostri pensieri, la nostra libertà, i nostri ricordi, i nostri sentimenti e per questo riesce a scaldarci i cuori.
Anche il Padre ha usato le storie per raccontare di sé, infatti la Bibbia è ricca di storie che possiamo narrare e la forza di ogni storia è il fatto che di fronte ad essa ogni uomo può decidere se quella raccontata è anche la propria storia e capire che in fondo quello che ci raccontano queste storie è una cosa sola, che come ha detto il relatore, sta in un ‘tweet’: ‘Dio è Amore’.
 
 
Daniela Pancisi