Il 1° febbraio la 37ª Giornata per la Vita

Il 1° febbraio la 37ª Giornata per la Vita
 
Dal “RisVeglio Duemila”  N. 4/2015
 
 
Solidali per la vita. Questo il tema scelto dai Vescovi italiani per la 37ª Giornata per la vita che si celebrerà domenica 1 febbraio.
 
A ben guardare le notizie che arrivano dal mondo e la cronaca italiana siamo ben lontani dalla consapevolezza di ciò che accade anche vicino a noi. Il presidente americano allarga ancora di più le possibilità di uccidere i bimbi già prevista in America fino alla fine della gravidanza con l’aborto a nascita parziale; l’Europa concede di vendere la pillola abortiva dei cinque giorni dopo senza ricetta e come prodotto da banco, bypassando allegramente la possibile obiezione di coscienza; l’attacco agli obiettori è a 360 gradi; una madre si procura – con medico compiacente – l’aborto al settimo mese e lascia morire il figlio per avere 80.000 euro dall’assicurazione inventando un incidente mai avvenuto; altri figli vengono sacrificati per riti satanici; genitori di minorenni che accompagnano le figlie ad abortire con la motivazione che non si rovineranno la vita e la mattanza silenziosa, inesorabile, implacabile, continua anche nella nostra Ravenna coperta da una coltre di indifferenza rispetto a questi concepiti e alle loro madri.
 
Incalzante, dunque, diventa la domanda: che mondo lasceremo ai figli, ma anche, a quali figli lasceremo il mondo? Questa domanda contenuta nel messaggio dei Vescovi dovrebbe mettere in crisi le nostre coscienze che vivono tranquille nell’ignoranza di ciò che succede e che guardano solo al proprio.
 
Tutti a stracciarsi le vesti per i bambini uccisi dai genitori delle notizie alla ribalta della cronaca e silenzio e ignavia di fronte a questi perché non considerati ancora figli in quanto non voluti.
E la condizione schizofrenica della nostra società comporta che chi li ha non li vuole, chi li vuole non li ha, chi li vuole li produce a tutti i costi, chi non li vuole si imbottisce di ormoni chimici per poi quando decide di cercarli non arrivano, chi ha paura di essere incinta utilizza la chimica per abortirli precocemente confondendola con contraccezione e via di questo passo.
Concetto riportato anche nel messaggio dei Vescovi sul triste fenomeno dell’aborto e sulla stessa prassi della fecondazione artificiale.
 
Ma cosa fare? Cosa manca per arrivare a questa consapevolezza? I Vescovi italiani sottolineano la necessità di sperimentare “nella carne del proprio figlio” la forza rivoluzionaria della tenerezza e veder risplendere un bagliore nuovo non solo per la famiglia, ma per l’intera società.
 
Dobbiamo ricominciare insieme con tutte le agenzie educative: dalla riscoperta della dignità personale, dalla formazione sui tanti aspetti che la difesa della vita necessariamente comporta, riattivare lo stupore di quel miracolo di vita che è ogni concepito, dalla corresponsabilità nell’aiutare chi ci è vicino e che sta vivendo una gravidanza difficile ed indesiderata, dalla consapevolezza che prima ancora che nostro figlio è Figlio di Dio e ha l’immagine e somiglianza di quel piccolo Gesù Concepito che ha cambiato la storia della Salvezza.
 
La frattura della coscienza è riconoscere il volto umano e divino di ogni concepito.
 
Detta con le parole di E. Levinas: il volto dell’Altro ha significato di per sé, si impone al di là del contesto fisico e sociale. Il volto dell’Altro ti viene incontro e ti dice: “Tu non ucciderai”. Nonostante il divieto può esserci l’assassinio, ma la malignità del male riapparirà nei rimorsi della coscienza dell’assassino, nell’accesso al volto c’è anche un accesso all’idea di Dio. Il volto è responsabilità per Altri: il volto dell’Altro entra nel nostro mondo; esso è una visitazione; è responsabilità: esso mi guarda e mi riguarda.
 
Il volto d’Altri mi impone un atteggiamento etico: “è il povero per il quale io posso tutto e al quale devo tutto”. Il volto dell’Altro, dunque, mi coinvolge, mi pone in questione, mi rende immediatamente responsabile.
 
Fin dall’inizio, “estraneo che non ho né concepito, né partorito, l’ho già in braccio”.
 
La mia responsabilità nei confronti dell’altro arriva fino al punto che io mi debba sentire responsabile anche della responsabilità degli altri.
 
Saremo capaci di fare questo scatto di umanità?
 
Cinzia Baccaglini