Fism, un tassello importante dell’offerta formativa del territorio

Fism, un tassello importante
dell’offerta formativa
del territorio

Dal “RisVeglio Duemila”  N. 22/2016

 

15 materne e due nidi, attive soprattutto nel forese.
Con rette che vanno da 180 a 220 euro

 

Una rete didattica capillare (nel comune di Ravenna 15 materne, 9 primavere e due nidi), che serve soprattutto il forese, dove l’offerta educativa statale o comunale scarseggia, con rette che vanno da 180 a 220 euro al mese. Ecco cosa vuol dire scuole paritarie Fism a Ravenna. Nei mesi scorsi, come è emerso nella stampa locale, il Comune di Ravenna ha inviato a 14 di esse 42 avvisi di accertamento per il pagamento dell’Ici arretrata (per gli anni 2009, 2010 e 2011) per un conto di 181mila euro, sulla base di una sentenza della Corte di Cassazione che ha dato ragione al Comune di Livorno in un contenzioso simile e contro i quali la Curia di Ravenna ha presentato 7 ricorsi. Un atto per certi versi “dovuto” da parte di funzionari pubblici, anche a detta della presidente della Fism, la federazione che riunisce le scuole paritarie cattoliche di tutt’Italia e quindi anche nella nostra provincia, ma sul quale, la Fism si aspettava, com’è accaduto in altri comuni, di poter aprire un dialogo, alla luce degli importi richiesti, capaci di mettere in crisi molte scuole, e dell’importanza del sistema scolastico integrato per il nostro territorio.

Non è un caso che qui abbiamo una capillarità dei servizi per l’infanzia e di conseguenza percentuali di occupazione femminile comparabili con il Nord Europa e non è nemmeno un caso che quasi tutti i candidati a sindaco in corsa in queste elezioni amministrative abbiano riconosciuto l’importanza delle paritarie in questo sistema. Quello che non è emerso negli articoli di questi giorni sono però i numeri che fanno delle Fism un tassello essenziale dell’offerta formativa sul territorio, riconosciuta tra l’altro con convenzioni annuali da decenni. “In provincia le scuole Fism sono circa il 30% delle materne – spiega la presidente Saula Donatini –: a Ravenna città ne abbiamo sei, tra le quali le più grandi, ma la maggior parte sono fuori, a Piangipane, Santerno, Mezzano, Sant’Alberto, Roncalceci, Castiglione, San Pietro in Vincoli e San Pietro in Campiano per un totale di circa 1.150 bambini”. Poche di esse hanno un bilancio un pareggio o tanto meno in attivo perché le rette da sole non bastano a sostenerle. “Non c’è molto da dire – fa sapere la Donatini –, se dobbiamo pagare una tassa simile ogni anno, le nostre scuole chiudono, tutte, anche le più grandi”. Con la conseguenza diretta che si può immaginare sulla vita di 1.100 famiglie. “Per la legge italiana queste scuole sono a tutti gli effetti pubbliche: altrimenti non si capisce perché dovrebbero controllare programmi e bilanci.

Un bambino che frequenta le nostre scuole alle casse statali costa molto meno di chi frequenta quelle pubbliche. Anche i genitori di questi bambini pagano le tasse, e magari vorrebbero che esse potessero contribuire in parte a sostenere l’istruzione dei loro figli. E alzare le rette significherebbe ridurre le iscrizioni, mentre le nostre scuole non sono mai state per pochi”. Nessuna retta delle scuole Fism a Ravenna supera la quota dei 5.900 euro annui a bambino (il costo medio di uno studente in una scuola statale) fissata dai decreti attuativi del Governo Letta per determinare se un istituto abbia o meno natura commerciale e quindi debba pagare l’Imu. “Siamo più o meno a un terzo di quella cifra, in quasi tutte le nostre scuole”, chiarisce Donatini. Purtroppo questo paletto non è stato fissato anche per l’Ici, ma una sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ravenna, emessa su un caso relativo sempre agli enti ecclesiastici, ha chiarito che il criterio da seguire è quello di applicare la normativa Imu anche alle questioni Ici. “Anche per questo il giudizio sul caso di Livorno è incomprensibile – spiega Enrico Maria Saviotti, consulente legale della diocesi –. I giudici hanno ritenuto che il fatto di non avere utili non fosse sufficiente per definire il fine dell’attività didattica come non commerciale: se la scuola incassa una retta, secondo i giudici, tende al profitto. Ma una cosa è percepire una retta che copra una frazione del costo medio per ogni studente e un’altra è raggiungere un utile che non viene reinvestito in un’attività destinata a fini riconosciuti socialmente utili dallo stesso ente pubblico, come invece avviene nel caso delle scuole paritarie”.

Questione tributaria a parte, la diocesi già a fine 2014 ha avviato un percorso condiviso con le scuole Fism per definire criteri comuni di gestione, un percorso che si è concretizzato in un vademecum con indicazioni valide per tutti. “Tra esse, alcune indicazioni su come determinare le rette (in modo che siano uniformi), sui criteri per procedere alle assunzioni, sulla rendicontazione dei contributi pubblici, sulla valorizzazione del servizio anche in ottica pastorale e per un confronto tra esperienze continuo”. Una strada da seguire in tempi di incertezza legislativa.