Alzati e và: La tua fede ti ha salvato. 20° Giornata del Malato

Alzati e và: La tua fede ti ha salvato. 20° Giornata del Malato

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 5/2012
 
In questa giornata tutta la Chiesa concentra la sua attenzione di preghiera e di amore su coloro che soffrono per ridire a se stessa e al mondo che essi sono al centro del Suo cuore come lo furono per Gesù . Anche l’Azione Cattolica Italiana, fedele allo stile dell’aderenza alla vita quotidiana più normale, è chiamata a una riflessione sulle persone ‘segnate dal mistero della malattia’ che incontra e che deve far incontrare ai suoi aderenti e simpatizzanti. Lo spunto ci è offerto dal versetto del vangelo di Luca scelto per quest’anno. Il comando di Gesù al lebbroso, prostrato ai suoi piedi in segno di riconoscenza e di fede in quanto constatatosi guarito mentre si recava assieme ad altri nove dai sacerdoti, racchiude l’insieme di quei beni spirituali , sociali e fisici che la lebbra inesorabilmente gli aveva tolto per sempre e che la vita di ogni giorno gli riproponeva crudelmente senza alternative. ‘Alzarti e và’, infatti, rinveste il ‘neonato ‘alla vita pubblica della dignità di persona con un volto e una storia precise che ora deve riproporre al mondo con la novità data dall’incontro con il Nazzareno. Gli viene restituita la libertà di movimento e di relazione che la malattia aveva sfigurato come e forse più del corpo ; egli è come ‘risorto a vita nuova’ anticipando inconsapevolmente il destino di Colui che gli donava tutto questo. Ma le parole di Gesù vanno oltre la condizione meramente materiale e fisica perché il Medico divino gli dona molto di più di una guarigione, sempre labile, gli fa dono della salvezza a risposta della sua fede umile e riconoscente. Qui vi è un annuncio preciso e ineludibile: la Salvezza è il bene supremo dell’uomo e di ogni uomo. Essa relativizza tutti gli altri beni e permette di collocarli nella giusta prospettiva, generando nella coscienza una scala di valori che ‘parla’ alla vita e la illumina in maniera percettibile e, quasi sempre, oggettiva al di là della capacità di attuare quanto essa comprende. Se la malattia porta con se immancabilmente il marchio della fragilità e della provvisorietà insite nella condizione umana, la fede, invece, la sigilla con l’Amore di Cristo in croce trascendendola e valorizzandola nella misura in cui è accettata e offerta rendendo il sofferente un vero ‘sacerdote’ che apporta il suo preziosissimo contributo all’estendersi del Regno dei Cieli. Solo coscienti di questa dimensione del dolore e della malattia possiamo veramente aiutare cristianamente coloro che ne sono oppressi. Normalmente però, prima di parlare del significato del dolore con chi ne è toccato occorre aver instaurato un rapporto di fiducia, anche minimo, facendosi ‘compagni di viaggio’ con discrezione e pazienza perché le parole siano sostenute dai fatti e l’affetto diventi gradualmente il ‘veicolatore’ della verità. Perché questo possa avvenire occorre un percorso educativo che espliciti le tappe che portano alla maturità cristiana su queste realtà sempre scomode. E’questo il compito degli educatori: entrare nel mistero del dolore per aiutare altri a non perdersi in esso.
Don Paolo Pasini Assistente Ac