Mons. Zuppi
incontra i detenuti.
“Nessuno escluso.
La Misericordia è per tutti”
Dal “RisVeglio Duemila” N. 23/2016
La Misericordia, vista da dietro le sbarre di un carcere, ha la forza di una stretta di mano, la delicatezza di una parola buona e la capacità di proiettarsi nel futuro. Questi i gesti semplici che hanno voluto portare nel carcere di Ravenna, giovedì 9 giugno, l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi e quello di Ravenna, Lorenzo Ghizzoni, nell’incontro organizzato dalla Caritas diocesana per presentare il libro di papa Francesco “Il nome di Dio è Misericordia”.
È solo l’ultima delle iniziative pensate dell’ente caritativo e in particolare dal delegato don Alain Gonzalez Valdès in questo Anno Santo della Misericordia.
Accanto a Zuppi, anche suor Giovanna Barberi delle suore di Carità e i coniugi Silvia e Massimo Santi della Papa Giovanni XXIII hanno raccontato le loro esperienze di carità e Misericordia “a chilometro zero”, rispettivamente nella casa famiglia di largo Firenze e nella comunità della Papa Giovanni XXIII di Gambellara. Sono stati una quindicina i detenuti incontrati dai due arcivescovi a margine dell’incontro, alcuni dei quali di fede mussulmana.
La Misericordia è per tutti.
“Entrare in carcere per me è sempre un’emozione, perché trovo un’umanità, fratelli e sorelle e sperimento la forza della Misericordia – ha esordito monsignor Zuppi –, un concetto che anche i nostri fratelli mussulmani possono ben comprendere perché ogni loro preghiera inizia con un’invocazione al ‘Dio misericordioso’”. La Misericordia, ha spiegato Zuppi, è innanzitutto una chiamata, plasticamente rappresentata nel quadro di Caravaggio sulla vocazione di San Matteo: ‘L’impressione è che Matteo dica a Gesù: ‘Ma chiami proprio me?’, che sono pubblicano e un pubblico peccatore? Ebbene sì, Dio chiama ciascuno di noi, indipendentemente da cosa abbiamo fatto, perché anche il peggiore dei peccatori vuole cambiare vita”.
Ancora: “La Misericordia è speranza – prosegue monsignor Zuppi -. La Misericordia è per tutti, nessuno escluso. E prepara al futuro, un futuro che però dobbiamo costruire noi. Questo il messaggio che voglio portare ai carcerati”. Sulla stessa barca. La Misericordia, ha proseguito l’arcivescovo di Bologna, è fare “della tua miseria, la mia. Quindi farsi carcerati con i carcerati. Papa Francesco, ha raccontato ancora monsignor Zuppi, ogni due settimane telefona in una delle carceri di Buenos Aires e cerca di visitare un istituto di detenzione in ogni viaggio apostolico, perché la Misericordia è fedele. “Perché lui e non io? – si chiede spesso il Papa –. È un mistero, e in questo mistero io tento di accompagnarlo”. Un concetto anticipato anche dall’arcivescovo Lorenzo nella sua introduzione: “Visitare i carcerati è una delle opere di Misericordia raccomandate in questo Anno Santo – ha detto – . E’ importante farlo per rompere quello schema secondo il quale chi sta dentro il carcere fa il Male e chi sta fuori fa il Bene. Non è così, ci sono più somiglianze che differenze tra noi e i fratelli detenuti”. “Imparare dai propri errori e superarli, questo deve insegnarci l’esperienza del carcere”, ha aggiunto la direttrice di via Port’Aurea Carmela De Lorenzo.
Guardare al futuro. Ancora, ripercorrendo le pagine del libro di papa Francesco, ci si imbatte in un tema che è centrale all’interno di una casa circondariale, quello della speranza, e quindi della rieducazione: “Una mentalità ormai diffusa crede che quando un vaso si rompe vada buttato, così se una persona sbaglia ‘è meglio se resta chiusa là dentro’ – osserva monsignor Zuppi –. La Misericordia non ragiona così: l’amore di Dio dà sempre fiducia, come le persone che ci vogliono bene, un atteggiamento che può portare un cambiamento nella persona che si ama. Come quella tecnica ceramica giapponese: se il vaso è rotto, lo si riattacca con l’oro che, alla fine, lo rende più bello di prima. Ecco, la Misericordia è proprio quell’oro”. Infine, una proposta in quest’anno Giubilare: “La Misericordia di Dio è capace di trasformare le sbarre del carcere in un’esperienza di libertà. Ogni volta che attraversate la porta della vostra cella, basta rivolgere un pensiero a Dio, per fare esperienza della sua Misericordia. Approfittatene”. Domande. Al termine della presentazione, la domanda di un detenuto, arriva al cuore del problema: “Ma perché quando ero fuori queste cose non me le ha dette nessuno? Perché la società non parla della Misericordia?”. Una denuncia amara anche per chi vive fuori dal carcere, e allo stesso tempo un invito a fare di più perché la società cambi.
Misericordia a chilometro zero.
È un contesto completamente diverso quello raccontato da suor Giovanna Barbieri, cioè la vita quotidiana accanto a bambini soli nella casa di largo Firenze, ma interpretabile a partire dalla stessa parola chiave, la Misericordia: “Misericordia per noi significa dare da mangiare e da bere ai nostri piccoli, non solo sussistenza ma affetto – racconta –. Dare un vestito, significa dare dignità: ‘Grazie perché mi avete fatto sentire un uomo, e poi mi avete dato da mangiare, mi ha detto Sev, che aveva viaggiato una settimana in camion dall’Afghanistan per arrivare qui.
Non siamo madri ma occuparci di questi figli di Dio ci permette di avere il ‘centuplo’ in questa vita”. Stesso filo conduttore nei racconti della casa famiglia Santi di Gambellara: “Lo abbiamo visto in tante storie di persone che abbiamo accolto – ha raccontato Silvia –: finché c’è vita c’è sempre la possibilità di ricominciare. La Misericordia di Dio io la vedo in Luciana ad esempio (una ospite della casa, 50 anni, con la sindrome di Down), nella sua tenerezza, nella sua capacità di prendersi cura, nei suoi modi di fare che ci costringono sempre a rallentare, nel suo bisogno di vita eterna”.