Crescere all’ombra del campanile

Crescere
all’ombra del campanile.
Viaggio negli oratori

Dal “RisVeglio Duemila”  N. 8/2016

 

Sono oltre un centinaio i ragazzi che frequentano quotidianamente San Biagio, San Paolo e San Simone: molti gli stranieri

Una “terra di mezzo”, nella quale incontrarsi, tra culture e religioni molto diverse, e incontrare Dio, nei valori e nelle figure educative che la attraversano. Questo è l’oratorio, che in diocesi assume “forme” molto diverse: c’è quello feriale, di San Biagio, San Simone e Giuda e San Paolo, quello aperto soprattutto nei fine settimana o quello “estivo”. Spesso il supporto “tecnico” di associazioni come l’Azione Cattolica e il Csi è fondamentale. Tante esperienze che ora un progetto della Pastorale Giovanile vuole mettere in rete e far dialogare. Allo studio l’ipotesi di creare un coordinamento degli oratori: mercoledì 17 febbraio se n’è parlato assieme ai responsabili in una riunione interlocutoria, la prima di una serie. “C’è voglia di oratorio – ha spiegato don Stefano Bucci, incaricato di Pastorale Giovanile –. Il tema è sentito. Ovviamente occorrerà chiarire di cosa si parla ma credo che sia una realtà importante che può metterci in contatto con i ragazzi”. Vediamo come funzionano i tre principali oratori della città.

 

A San Simone e Giuda l’oratorio è aperto tutti i giorni, al pomeriggio (dalle 14.30 alle 19) e anche alla sera (dalle 20.30 alle 23). Ad occuparsi dei ragazzi sono i salesiani, soprattutto don Mino Gritti e don Gianpaolo Garatti, e una ragazza che svolge servizio civile in parrocchia.

Sono una trentina i ragazzi che frequentano il doposcuola, l’attività offerta da un gruppo di 25 volontari, ex insegnanti in pensione o universitari, e divisa in tre laboratori (italiano, matematica e lingue straniere), un’altra ventina di ragazzi si associano per il gioco libero od organizzato del tardo pomeriggio, mentre nel week-end, con i gruppi di catechismo, si sfiorano le 200 presenze. “Abbiamo ragazzi dai 14 ai 20 anni circa, tantissimi senegalesi, nigeriani albanesi, molti anche di altre religioni e che vengono da zone difficili come via Tommaso Gulli – spiega don Mino Gritti, il responsabile dell’oratorio -. Non abbiamo mai avuto problemi di disciplina: quando percepiscono la presenza educativa, rispettano ambienti e persone. L’oratorio è uno spazio nel quale si sentono accolti, e questo fa la differenza”. Tanto è vero che ci sono ragazzi che a “Sansi”, come viene famigliarmente chiamata la parrocchia arrivano in autobus, dai lidi o da altre parti della città. Per molti l’Oratorio Cup è l’unico modo per far sport, a costi limitati. “Non pochi dei nostri ragazzi hanno fame, fame di pane – spiega don Mino – per questo ci stiamo interrogando anche sulla possibilità di offrire un piatto di pasta alla sera. La sfida ora per noi è che l’oratorio non sia solo ‘affare’ di due o tre, ma che dietro ci sia un’intera comunità educante”.

Più giovane l’esperienza di oratorio nella parrocchia di San Biagio. “Dal primo di novembre siamo aperti ogni pomeriggio dalle 14.30 alle 18.30, in media abbiamo una trentina di ragazzi, circa la metà stranieri. C’è una vivacità ordinaria che rende la parrocchia viva tutti i giorni – spiega don Mattia Balelli, vicario parrocchiale -. L’altro giorno un parrocchiano ateo al quale chiedevo se facevamo troppo rumore mi ha detto ‘Un po’, ma adesso sì che si vede che in chiesa c’è qualcuno’”. Tante le attività: dal dopo scuola tre giorni a settimana, alle attività ludico-culturali e religiose (il venerdì biblico in Quaresima, cene condivise per gli adulti) e sportive e ai laboratori (chitarra, percussioni, teatro e danze popolari). A gestirle Lorenzo Monti, un giovane della parrocchia, assunto a part-time. “Dopo un periodo di diffidenza, ora mi pare i giovani si siano incontrati e abbiano fatto gruppo. D’altra parte l’accoglienza fa parte della cultura dell’oratorio – spiega don Mattia –. Un coordinamento degli oratori? Può essere utile, soprattutto per avere più forza sul territorio e magari ragionare su un progetto educativo comune”. Infine a San Paolo i giuseppini propongono l’oratorio da una decina d’anni sia al pomeriggio che alla sera con doposcuola, attività sportive (pallavolo, basket, taekwondo e calcio), associative (Agesci e Anspi) e ovviamente il catechismo.

“Tutte le esperienze educative dell’oratorio si potrebbero riassumere in ‘giocare, imparare e pregare’ – spiega il parroco padre Luciano Agnella –. L’oratorio non è solo il cortile della parrocchia, ma un ‘ponte’ tra la parrocchia e il territorio, un ‘crocevia’ educativo tra la comunità, i ragazzi, i giovani e le famiglie”. Buona idea il coordinamento degli oratori? “Come si dice: ‘Se uno sogna da solo, è solo un sogno; se molti sognano insieme, è l’inizio di una nuova realtà’”.

 

Daniela Verlicchi