25° Treno della Grazia

25° Treno della Grazia

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 26/2011
 
Anche quest’anno abbiamo avuto due splendidi momenti di incontro e riflessione dedicati a noi adulti.
Sabato 25 giugno siamo stati ospiti di S. E. Mons. Giovanni Tonucci che ci ha spiegato come la sua funzione sia duplice: Arcivescovo della Diocesi di Loreto e delegato pontificio. Ci ricorda come Loreto sia un santuario diverso dagli altri perché non si venera un’icona. Loreto non è un santuario devozionale ma teologico. A Loreto la Madonna ‘passeggia nella sua casa’. Questo è il luogo dove la volontà di Dio si è incontrata con la volontà di una donna e quindi vi sono molti elementi di stimolo alla meditazione.
Ci ricorda come la vita di alcuni santi sia stata profondamente toccata dalla visita al santuario e come anche Chiara Lubich abbia trovato qui una spiegazione alla sua inquietudine interiore
Le vicende che riguardano la Madonna le possiamo trovare in forma pittorica, marmorea, bronzea e altrove non se ne trovano di uguali.
Il passaggio in Santa Casa, quando veniamo per la prima volta, risponde alla nostra curiosità. Dobbiamo quindi passarci una seconda volta per presentare le nostre intenzioni e le preghiere di quanti si sono affidati a noi. Bisogna però ricordarsi di fare un terzo passaggio stando in silenzio, senza presentare la nostra solita ‘ lista della spesa’. Dobbiamo fare come Samuele e dire solo: ‘Signore parla, ti ascolto’.
Sono seguiti alcuni interventi.
Luciana testimonia come la visita della S. Casa sia stato un momento che ha segnato il marito di sua nipote che è giunto alla basilica come semplice turista, ma che si è sentito chiamato a tornare dopo pochi giorni. Successivamente ha scoperto di avere un tumore ed è qui che ha trovato la forza di continuare a combattere per altri 6 anni prima di lasciare i suoi cari, senza mai perdere la speranza di guarire.
Gabriella pone una domanda: ‘Secondo lei, cosa conta di più nella vita di una famiglia?’. Mons. Tonucci ci invita ad ammirare le raffigurazioni che si trovano nella cappella spagnola, dedicate alla vita di S. Giuseppe. In una di queste si vede Giuseppe che lavora e Maria che parla a Gesù con un libro in mano. Rappresentano l’immagine del ‘ prendersi cura’. Giuseppe con il suo lavoro dà l’esempio del sacrificio, dell’impegno che la vita ci richiede e Maria insegna forse i primi rudimenti del catechismo, i valori fondanti della propria esistenza. Una famiglia che non si accontenta di soddisfare solo i bisogni materiali come invece fanno tante famiglie di oggi che dimenticano i bisogni spirituali.
Grazia: è più facile parlare ai bambini quando sono piccoli ma quando diventano adolescenti le cose si complicano. Mons. Tonelli risponde che ai bambini bisogna dare da subito esempi e valori forti. Visto che i figli si fidano molto dei genitori è ancora più importante dar loro i giusti valori così come cerchiamo di proteggerli dai pericoli della vita. I ragazzi pensano di sapere tutto e solo molto più tardi riescono a capire meglio i genitori. Noi adulti dobbiamo stare molto attenti con i nostri comportamenti e le nostre parole a non metterli al muro rafforzando le loro negatività.
C’è più bisogno di testimoni che di prediche.
Desiderio: l’esempio conta più di molte parole. I genitori spesso sono impegnati con il lavoro e i figli ascoltano poco. Bisogna pregare perché il Signore ci aiuti ad essere sempre un buon esempio.
Nel pomeriggio è seguita una vista guidata della basilica e della sala del tesoro.
 
L’incontro con Rita Coruzzi
Domenica 26 giugno abbiamo incontrato Rita Coruzzi. Accompagnata dalla mamma, Rita ci ha raccontato la sua esperienza di vita con parole così sincere, forti che ci ha più volte commosso e spinto ad interrogarci.
Rita è nata il 2 giugno 1986 e a causa di un parto prematuro ha riportato dei danni che le hanno impedito di camminare normalmente. Fin da piccola il suo obiettivo prioritario è stato ottenere la capacità di muoversi come gli altri e dal momento che le avevano promesso che ciò sarebbe stato raggiungibile solo con tanta fisioterapia, ad essa ha dedicato tutte le energie della sua infanzia. Dentro di lei era vivo il desiderio di sentirsi accettata e di poter avere le stesse opportunità. A un certo punto le è stato proposto un intervento che, a detta del suo medico, sarebbe stato risolutivo per abbandonare il suo stato di mobilità precaria.
Dopo questo intervento è finita la sua situazione di precarietà per collocarsi definitivamente in quella di impossibilità totale a camminare. Era diventata completamente disabile. Rita dice: ‘Non ero una bambina felice ma ero sicura che con il mio impegno mi sarei ripresa tutto e con gli interessi e mi sarei finalmente accettata perché sarei stata uguale a tutti’. Tutto questo progetto era venuto a cadere.
Per Rita è iniziato un periodo terribile da attraversare: non aveva più obiettivi per cui vivere, sono sopraggiunte la rabbia e la disperazione.
Rita è cresciuta con i valori della fede ma era tale la sua rabbia che proprio a Dio rivolgeva le sue rivalse:’Se davvero mi vuoi bene Gesù dove guardavi quando quel medico mi operava? Perché mi hai condannato a questa vita?’. Per fortuna la mamma, pur nella sua sofferenza di genitore, non ha mai lasciato che Rita si scoraggiasse e ha cercato di aiutarla a non perdersi ma a fare appello alla sua intelligenza al di là delle barriere fisiche. Nella sua rabbia Rita abbandona la sua fede, la Messa e qualsiasi contatto con un sacerdote.
Al momento di scegliere la scuola superiore decide di fidarsi di se stessa: si iscrive al liceo classico. Rita alla fine ha avuto ragione ed è stata promossa all’esame di maturità con 86. Proprio al liceo ha incontrato un sacerdote che l’attraeva per il senso di pace interiore che riusciva a trasmettere. Un giorno le fa questa domanda: ‘Rita da quant’è che non guardi in faccia una persona?’. Infatti ormai la postura di Rita era con gli occhi rivolti in basso per la paura di leggere negli sguardi degli altri la commiserazione, la pietà. Il sacerdote non ha voluto sentire la risposta alla sua domanda ma le ha proposto di accompagnarlo a Lourdes e lei ha accettato. Ammette Rita che in questa decisione pensava anche ad una ipotetica guarigione ma soprattutto di ritrovare ordine nella sua vita. Ciò che da subito l’ha colpita è stata la gioia che ha letto nei volti delle persone che aiutavano i disabili e questo le ha permesso di non sentirsi di peso ma accolta poi c’è stato l’incontro con Lei, la Signora come la chiama Rita. ‘Ho alzato la testa, l’ho guardata e le ho detto: ”desso tu mi devi spiegare perché mi è capitato tutto questo disastro e se non mi risponderai perderò anche quel poco di fede che mi è rimasto! La mia mamma mi ha detto che forse al Signore servivo in carrozzina, ma cosa vuol dire?’. A quel punto ho percepito internamente un calore, era come il calore che sento quando abbraccio la mia mamma. Ho sentito una voce che mi ha detto: ‘Vuoi sapere cosa devi fare? Testimonia e converti! Questo è il perché di quanto ti è successo. Testimonia come è bella la sofferenza se c’è Cristo vicino’.
Io lo posso dire, è vero, non sono contenta, non si può chiedere a un genitore di essere contento della disabilità di un figlio ma si può accettare e non scappare. Nemmeno Gesù è scappato dalla croce. Di nuovo poi sento la voce che mi dice: ‘Volevi sapere dov’era Gesù? Guarda in basso e lo vedrai’.  Abbassando gli occhi ho visto la carrozzina. Lei è Gesù e io stavo sulle sue ginocchia e non me ne ero accorta. Ai nostri occhi la carrozzina è un ostacolo ma con gli occhi della fede è uno strumento di risurrezione. Sono tornata a casa da Lourdes e ho detto, sono guarita! Non nel corpo, ma ho imparato ad accettarmi, ho ripreso ad andare a Messa e ho incontrato uno splendido padre spirituale. Faccio queste mie testimonianze non per me ma per aiutare gli altri disabili perché questa società è fatta solo per i sani. Noi figli disabili chiediamo a voi genitori di accettarci perché senza di voi noi siamo perduti. A noi figli dico, non molliamo! Noi siamo la chiave per cambiare questa società! Se un figlio non può lottare, genitori lottate per lui ma non dimenticatevi mai di mantenere la sua dignità! Insegniamo a tutti a non scappare davanti alla nostra diversità’
Sono seguiti alcuni interventi.
Marco: questa gioia che noi viviamo dobbiamo trasmetterla anche ad altri, pubblicizzarla con le nostre parole e far sì che anche altre persone possano vivere una esperienza come questa.
Paola: noi insegnanti a volte siamo un po’ bistrattati e capita che ci sentiamo inefficaci. Dalla tua esperienza capisco come la tua cultura ti aiuti nella vita, quanto è importante la tua formazione scolastica. Questo mi dà la carica per fare ancora di più come insegnante. Capisco da te che posso dare ai miei studenti non solo cultura ma anche voglia di vivere.
Aida: hai parlato del male di vivere, oggi lo vediamo particolarmente sui volti degli adolescenti. Qui a Loreto invece si percepisce il piacere del vivere.
Auguriamo a Rita Coruzzi tanta fede e speranza assicurandole che pregheremo per lei.
Daniela Minghelli
 
Una testimonianza
Per me la cosa più divertente è stata giocare in squadra con il mio gruppo: i verde acido.
Al parco abbiamo potuto giocare con le palle e le spugne e mi sono proprio divertito. Gli animatori di quest’anno li conoscevo già e sono stati molto simpatici. Ho conosciuto un nuovo amico, ci siamo scambiati i numeri di telefono e spero che ci rincontreremo il prossimo anno. Il giorno della benedizione eucaristica avevo voglia di fare una passeggiata con il sacerdote e con Gesù così ho portato io la bandiera del mio gruppo in processione nella piazza. Mi è piaciuto molto il brano del vangelo che abbiamo letto lunedì, quando Gesù chiama Zaccheo e gli dice: ‘Scendi dall’albero perché oggi vengo a casa tua’. Se lo avesse detto a me mi avrebbe fatto molto piacere.
Matteo Siboni