
22 giugno: Ordinazione Sacerdotale. Intervista a Don Pietro e Don Alain
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 24/2013
In occasione della ordinazione sacerdotale, che sarà presieduta dall’Arcivescovo Mons. Lorenzo Ghizzoni sabato 22 giugno alle ore 20.30 nella Cattedrale di Ravenna, abbiamo intervistato Don Alain Gonzalez Valdès e Don Pietro Parisi; ecco le loro risposte.
Raccontate in breve, il vostro percorso vocazionale, sino a descrivere il momento decisivo, per la vostra scelta di diventare sacerdoti.
Alain – ‘Una normalissima infanzia a Cuba, trascorsa nel seno di una famiglia che mi ha dato tanto: l’amore, la fede, valori altissimi, la gioia di stare insieme. Poi durante le superiori, sempre a Cuba, ho conosciuto un seminarista che con la sua vita e il suo esempio mi colpì molto, con lui mi sono posto le domande profonde sulla vita e sull’essere cristiano, sulla persona di Cristo e su Dio. In quel momento ho pensato per la prima volta che una vita donata acquistava un senso diverso e più bello. Dopo le Superiori il mio impegno in parrocchia diventò maggiore, facevo il catechista, partecipavo a diversi gruppi e iniziai un cammino di accompagnamento con un religioso. Poi sono venuto in Italia e ho conosciuto Don Giancarlo Galeati e la comunità della Celletta, insieme a lui ho ripensato alla mia vita e alla bellezza di donarsi a Cristo nella Chiesa. La scelta definitiva di intraprendere il cammino verso il Seminario arrivò ad Assisi, ai piedi della tomba di Francesco, in quel posto mi sono detto: basta! Adesso smetto di fuggire e provo a pensare a una vita insieme a Gesù! Questo, in sintesi estrema, è stato il mio cammino prima del Seminario’.
Pietro – ‘Sono di origini napoletana, in particolare, di Torre del Greco. Mi sono trasferito a Lido Adriano diciassette anni orsono con la mia famiglia, per motivi di lavoro; mi sono inserito nella vita parrocchiale, grazie anche all’accoglienza e alla fiducia che sin dai primi momenti Don Marco Cavalli mi ha dato. La mia vocazione ha radici profonde, sin da bambino, subito dopo la Prima Comunione; il merito va alla mia catechista, recentemente scomparsa, la quale ha giocato un ruolo fondamentale nella mia vita di fede. Ma prima di entrare in Seminario sono passati degli anni, la scuola, che poi ho lasciato, il lavoro e poi ancora la scuola, fino a giungere all’estate del 2004, quando espressi all’Arcivescovo Mons. Giuseppe Verucchi il mio desiderio di entrare in Seminario e lui mi propose di vivere un anno di accompagnamento spirituale con l’allora Vice-Rettore di Ravenna Don Cristian Cerasa. Terminato quest’anno, entrai in Propedeutica a Ravenna dove ho frequentato anche il biennio Filosofico-Teologico, terminato questo, sono andato al Pontificio Seminario Regionale Flaminio, dove ho frequentato il biennio Teologico, e dove ho conseguito il Baccalaureato, concludendo così il mio cammino formativo in Seminario. Ordinato Diacono il 7 dicembre 2012, attualmente presto servizio presso la Parrocchia di S. Maria Assunta in Portomaggiore’.
La vita in Seminario implica tanto studio, sacrifici, e scelte ‘non comuni’, come privarsi di relazioni affettive o non poter condurre una vita ‘mondana’. Ci sono stati momenti critici in questo lungo percorso?
Alain – ‘Ricordo due momenti particolarmente difficili per me: uno appena entrato in Seminario e uno alla fine del terzo anno. Il primo momento è stato legato alla scelta, non ero completamente sereno e sentivo che la vita del Seminario era particolarmente difficile e dura, poi c’erano anche tanti dubbi nel mio cuore, tante insicurezze. Il secondo momento di ‘crisi’ è stato più profondo: sentivo la fatica di dire che nella mia vita bastava solo Gesù Cristo. In questi due momenti ho potuto contare su due preti del Seminario Regionale che mi hanno molto aiutato a chiarire e risolvere le mie domande, alla fine posso dire che mi ha guidato e sostenuto la pazienza del Signore con me, la sua grazia e il suo amore, tutto questo scoperto nella preghiera e nel rapporto personale con un Dio che si prende cura di te come un Padre’.
Pietro ‘ È da Cristo che ho trovato la forza per raggiungere questa meta, ammetto che i sacrifici e le fatiche non sono mancati in questi anni di formazione e di sicuro non mancheranno neanche in futuro, perché come avviene per tutte le persone che intendono impegnarsi seriamente in una scelta di vita, è normale trovare difficoltà, le quali però sono motivo di crescita. Per fortuna questo aspetto delle fatiche è minore, confronto ai tanti momenti belli, di gioia e di approfondimento che ho sperimentato nel rapporto con il Signore e con le persone che mi sono state vicine e che ho conosciuto. Ringrazio i formatori del Seminario Arcivescovile di Ravenna e quelli del Pontificio Seminario Regionale Flaminio di Bologna, per il cammino fatto insieme; un ricordo particolare va a tutti i miei compagni di Seminario ancora in formazione; a loro dico di perseverare in ciò che hanno scelto specialmente nei momenti difficili, tenendo presente la meta, se il Signore ha predisposto questo disegno su ciascuno. A tutti i giovani in discernimento dico, non spaventatevi se il Signore vi chiama, vi darà di sicuro la forza per portarne il peso’.
Il rapporto con le comunità parrocchiali è importante. Dove avete prestato servizio e che insegnamenti avete tratto da questo tipo di esperienza per il vostro cammino?
Alain – ‘Ho prestato servizio nel Santuario della Celletta nei primi anni del Seminario, in esso ho potuto esperimentare due cose bellissime: la gioia della vita comunitaria, condivisa con la piccola e accogliente comunità che frequenta il Santuario; poi ho imparato a camminare guidato da Maria, Madre di Gesù, ho potuto sentire la sua bontà materna e la sua tenerezza. A Longastrino ho fatto un’altra importante esperienza: anche qui ho potuto vedere come il Regno di Dio cresce come il lievito, dove di sconvolgente non trovi nulla, ma nella quotidianità si gioca il tutto. Ho imparato meglio cosa vuol dire essere parroco, avere uno sguardo attento sulla comunità, la sincerità evangelica, la carità vissuta, Longastrino è stata una palestra che non finirò mai di ringraziare. Ma quella che mi è entrata più nel cuore è stata San Pier Damiano, spero che nessuno si offenda, ma mi sembra veramente bello poter dire che io amo questa parrocchia! Ho imparato che il prete deve essere più contento dove può esercitare di più il suo essere per gli altri, come Cristo’.
Pietro – ‘Lungo il mio cammino ho prestato servizio presso le parrocchie di Lido Adriano, San Biagio, San Rocco e Portomaggiore. Ho incontrato comunità vive, diverse tra loro, da cui ho attinto ricchezza umana e spirituale; ogni sacerdote mi ha permesso di scoprire volti diversi ma ugualmente importanti per la vita del Presbitero. Da questi cambiamenti ho attinto ciò che mi serve per il mio ministero; una vita di fede profonda fatta di preghiera, l’importanza di stare a contatto con la Parola di Dio nonostante gli impegni che il Sacerdote è chiamato a vivere. Lo spendersi malgrado l’età che avanza, il rapporto paterno con i propri parrocchiani al punto da sentire la loro casa come la tua, le loro gioie e sofferenze come mie. Non da ultimo ho notato anche la particolare attenzione e generosità nei confronti dei seminaristi, che anch’io posso dire di aver sperimentato nei diversi cappellani che ho incontrato’.
Papa Francesco ha richiamato il valore della comunione e della condivisione: seguire Gesù vuol dire uscire da noi stessi. Anche il nostro Arcivescovo ci invita ad essere una Chiesa che va incontro alla gente. Questo, per un novello sacerdote, cosa implica?
Alain – ‘Una Chiesa aperta con un presbiterio unito, che senta veramente il valore di questo sacramento che ci fa diventare corpo, un’immagine molto
cara a San Paolo. È anche un richiamo forte a tornare alla Scrittura, è Cristo stesso che ci parla di comunione e di vincoli forti nell’amore tra di noi. Un tema molto caro anche al Vaticano II, che parla della Chiesa come mistero di comunione. Oggi davanti a tutte le cose che deve fare un prete non sarebbe possibile concepirci come soggetti soli e autosufficienti, dobbiamo avere uno spirito di comunione. La comunione richiede anche dei sacrifici, ma penso sia la cosa più importante all’interno della Chiesa, i pagani dicevano dei primi cristiani: guardate come si amano! Bisogna ritornare a quella comunione che fa scaturire l’amore tra i fratelli’.
Pietro – ‘Condivido pienamente quanto hanno detto Papa Francesco e l’Arcivescovo, perché la società in cui viviamo ha bisogno urgente di avere Ministri sensibili che sappiano ascoltarti, incoraggiarti, starti accanto, farti sentire che Cristo è una persona reale che visita tutti le situazioni in cui vivi; dalle gioie alle sofferenze. Il Presbitero è colui che è chiamato a farsi presente accanto all’uomo, deve uscire da se stesso e andare là dove c’è bisogno di una parola buona, un gesto di conforto o di richiamo e nello stesso tempo offrendo la Parola di Dio. Non è facile, l’uomo di natura tende a essere egocentrico, questo aspetto spesso non facilita la comunione; noi invece in quanto cristiani siamo chiamati in virtù del Battesimo che ci accomuna nell’unica famiglia dei figli di Dio, a cercare di tenere alti gli occhi al Cristo, per avere uno sguardo più profondo verso i fratelli in necessità’.
La nostra è una Diocesi grande, tuttavia la partecipazione alla vita ecclesiale è carente. La domanda è la stessa che ci ha rivolto Mons. Ghizzoni: come evangelizzare più efficacemente la nostra gente?
Alain – ‘Evangelizzare con la nostra vita e con la nostra testimonianza. La fede ci cambia, cambia il nostro modo di essere, le nostre azioni. Solo un cuore cambiato e rinnovato può accendere altri cuori verso questa novità di vita che si chiama Gesù di Nazareth. Possiamo inventare tante cose, tanti modi o strumenti utili, ma ricorderò sempre l’intervento di un Cardinale al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione dell’anno scorso: bisogna partire dal rinnovamento della nostra fede, partire da noi e del nostro incontro con Gesù’.
Pietro – ‘Penso che l’evangelizzazione debba partire da noi stessi, da più parti è comune sentito dire che la comunità cristiana attuale è più portata al giudizio moralistico, invece che all’amore fraterno che era tipico delle comunità delle origini. A volte i nostri ambienti ecclesiali, possono sembrare troppo aridi e mancanti di quell’umanità bella che solo una vita animata dallo Spirito ci può dare. Una contro testimonianza può rallentare l’evangelizzazione, e scoraggiare anche quelli che vorrebbero fare esperienza del Cristo. Si cercano nuovi metodi, ci preoccupiamo dei numeri da raggiungere, dei programmi da realizzare, mentre ritengo che bisogna puntare più all’essere che al fare. Certamente non sarà facile’.
A cura di Fabrizio Casanova