Dalla A di Acierre alla A di Africa

Dalla ‘A’ di Acierre alla ‘A’ di Africa
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 41/2012
      
Il cammino vocazionale di Suor Silvia Melandri, giovane cervese
Dalla ‘a’ di Acierre alla ‘a’ di Africa
 
Siamo a Cervia, parrocchia del Duomo. Anni ’80. Pochi bambini e pochi giovani.
A un certo punto, qualcuno sente il bisogno di oratorio. Così comincia l’esperienza dell’Azione Cattolica a Cervia e all’inizio’ pochi bambini e pochi giovani. Tra questi Silvia Melandri. Non so quanti di voi abbiano avuto il piacere di conoscere quella che ora chiamiamo Suor Silvia quando era una ragazzina. Si chiamava sempre Silvia e, anche senza velo, aveva gli stessi occhi di oggi. Qualcuno la ricorderà quando a tredici anni passeggiava vestita di nero, con un berretto da urban girl e la catena al polso. Già, perché Silvia è stata una vera adolescente, di quelle intellettualmente e caratterialmente vivaci. Amava la musica straniera, le atmosfere cupe e po’ noir della letteratura di fine ottocento. Era proprio una ragazza speciale, di quelle che provocano, che non si accontentano di risposte scontate, che guardano il mondo con il cuore e non attraverso i filtri sociali. Non avrebbe seguito il ‘Grande fratello’ se a quell’epoca avesse imperato sugli schermi. Allegra, spiritosa, ironica, insieme ad amici più grandi e alcuni coetanei frequentava la parrocchia del centro, il Duomo di S. Maria Assunta, austera testimonianza cristiana nella terra dei ‘Don Camillo e Peppone’. Non erano i tempi delle chitarre quelli, si usava accompagnare le funzioni con strumenti più istituzionali e, il parroco, Don Tanasini, sembrava più un orso che un uomo di Dio, ma aveva un cuore sincero e sapeva riconosce il bene anche dove non appariva: così, quando la vedeva arrivare, sorrideva sornione.
Tra la metà degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90 le porte del vescovado, anche grazie a Silvia, si sono aperte. Bambini e ragazzi per un po’ hanno ravvivato il Centro. Silvia allora era animatrice, termine usato attualmente per indicare i personaggi che ravvivano sfiniti turisti in fuga dalle loro identità quotidiane. Oggi diremmo educatrice, riconoscendole un ruolo più impegnativo e pedagogico. Da educatrice raccontava in modo semplice, con la sua amicizia, che l’amico vero è Gesù. Non so quanto sapesse che il modo più vero per trasmettere i messaggi stia nel viverli, tuttavia sapeva comunicare perché viveva ciò che raccontava. I bambini di allora sono diventati adulti e alcuni la ricordano ancora, chi per l’allegria, chi per i discorsi, chi per i momenti di gioco o dei campi in montagna d’estate. Ora Silvia, già laureata da tempo in Filosofia, veste di bianco perché missionaria, e le suore missionarie, si sa, sono un po’ meno formali. Indossa convinta il velo anche se sempre un po’ scomposto come è più consono alla sua natura, soprattutto indossa il sorriso sereno di chi ha trovato il suo tesoro, la grinta di chi è chiamato ad un compito che richiede coraggio e la coerenza di chi sa che per essere credibile nell’amore si debba amare pienamente. Per qualche anno, in Togo, ha diretto una scuola elementare che ospita più di cinquecento bambini in età scolare e di scuola materna. Da oltre due anni si trova in Benin. È direttrice di un Istituto Superiore che forma gli educatori di qualunque grado e scuola, riconosciuto come universitario dallo stesso paese. Un ambito, quello della scienza dell’educazione, poco sviluppato nel terzo mondo e pertanto molto desiderato dagli stessi giovani d’Africa che tengono alla propria terra e ai propri fratelli più di quanto pensiamo.
L’educazione era il carisma di don Bosco e lo stesso dell’ordine di suor Silvia. Lei è stata chiamata a trasmetterlo ad un certo livello, cosa che la preoccupa un po’, le cose troppo formali la mettono in imbarazzo. Quando ci siamo salutate ad agosto, prima che partisse per il Benin, mi ha fatto la solita faccia buffa di chi sa di non poter dire di no. I piccoli a cui tiene tanto sono anche là; accanto all’istituto di Silvia infatti si trova la Casa di Carità, un riparo per circa quaranta bambini e bambine di strada, che cercano scampo dalla prostituzione e dallo sfruttamento. Insomma, se ora la cercassimo la troveremmo là, bianca in un paese dalla terra rossa, sorridente e soddisfatta perché ha sempre chiesto al Cielo, cui si è affidata, di destinarla all’insegnamento e all’infanzia. Ha trovato il suo tesoro e, conoscendola, so che non ne distoglierà lo sguardo fino a che non sarà chiamata ad altro. Chi volesse mandarle un messaggio la trova su facebook sorridente con il suo velo bianco.
Grazia Pecorelli