Il cristiano uomo di fede e speranza, nella società – 1
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 41/2012
Mai gli incontri di cristiani impegnati in politica sono stati così ‘sussultori’ come quest’ultimo, avvenuto presso la Sala Mesini in via di Roma sabato 3 novembre, alla presenza del nostro Arcivescovo Mons. Giuseppe Verucchi. Parlo di sussulto, perché le due orette sono state pervase da vera passione ‘corale’ ad opera dei convenuti.
Si è partiti dalla presa d’atto del male sociale, attualmente verificabile negli scandali e nella corruzione, che lambisce la classe politica e la classe dirigente. A ciò si è aggiunta la presa d’atto di quell’indignazione popolare, che non ‘ne può più’, quando si vede obbligata a stigmatizzare esempi di corruzione, che ormai stanno diventando un ‘fenomeno’.
Eppure, si è detto, dal male sociale emerge un indicatore: la società, che, così, non va più bene, che ha perso di vista la sua strada naturale, che ha bisogno di ingredienti nuovi, come il senso del convivere buono, dell’amicizia, della spiritualità.
E’ venuto fuori un appello alla fede, come questione ‘nuova’. Eccola: il senso radicale del credere. Qual è il significato dei reiterati incontri, ora felici ora ‘scontrosi’, tra la fede e la ragione?
Gli incontri felici attestano che la ragione può vincere l’antropologia relativista. Ma come?
E qui si è convenuto sull’invocazione dell”umiltà’. Tornare ‘umili’ e ‘bambini’. I bambini ricordano l’infanzia, che è buona in sé. L’infanzia di Gesù è accattivante, perché pregna di significati. Benedetto XVI, al proposito, ci ha fatto dono di un libro sull’argomento. Può la ragione, corroborata dall’umiltà, perfezionare il percorso del vivere associato? Certamente sì, quando, attualizzandosi nella ‘polis'( ha detto qualcuno citando Platone), diventa ‘arte’ del buon vivere, dove non c’è posto per uno stato inefficiente che cura alcuni cittadini e non altri; dove la scienza, che serve esclusivamente i partiti, non è più tale; dove le leggi hanno un’anima, solo se affiancate dalla religione e dall’educazione.
Fede e ragione, dunque, in ‘abito umile’. Ed è questo l’ ‘habitat’ sottolineato uniformemente, dove il cristiano, che ha la responsabilità pubblica, sa come può e come deve usare il potere; sa come riappropriarsi del principio personalistico di una sana antropologia, evidenziato, tra l’altro, dalla nostra ‘carta costituzionale’; sa come portare i veri valori in uno stato laico.
Qualcuno ha cercato di spiegare l’aria di ‘indignazione’ nazionale dei (e sui) cattolici praticanti.
I dati statistici forniti sono quelli di una fotografia sconcertante della testimonianza politica: per il 45% la politica deve essere laica; il 9% chiede il partito dei cattolici; il 10% si identifica nel centro; il 5% nel movimento 5 stelle. Tutti hanno convenuto che, in momenti confusione e di ‘diaspora’, deve essere fatto un serio discorso sui ‘contenuti’ e sui ‘contenitori’, ben consapevoli che il problema dei contenuti è scottante, dal momento che oggi bisogna fronteggiare una società pluralistica. La ‘recta ratio’, che è inerente alla natura umana, e che oggi sembra supportare l’inespressibilità di molti cristiani, in quanto cittadini, circa la collocazione politica, è fortemente stimolata a ridefinire i ‘contenuti’.
Qualcuno ha evocato l’immagine dell’autunno come contesto adatto al ripensamento. Se il modello sociale di oggi è fallito, perché, allora, non prendere coraggio e tornare alle radici?
La società pluralistica interpella tutti, anche i cristiani. Se la vita politica e la vita di fede non devono essere scisse, bisogna trovare i ‘modi’ per colloquiare e lavorare.
La domanda di fondo è questa: chi siamo? La moderatrice dell’incontro, professoressa Enrica Giovannetti, ha ben sintetizzato l’attuale ‘febbre di ricerca del vero’: occorre rifondare un percorso sofferto. E, citando Heidegger, ha canalizzato questo prezioso messaggio: tutte ‘le risposte dipendono dalle domande che ci siamo posti’. Le domande poste sono state tante. Ma le risposte? le risposte con le ‘giuste coordinate’? Qualcuno dei presenti ha recepito molto bene le ‘buone coordinate’ suggerite da Mons. Verucchi, tanto da farne ‘derivare’ tre punti fondamentali: ‘sono buone in se stesse, tocca a noi realizzarle, non ci sono riserve nell’accettarle’.Quali sono queste ‘coordinate’ proposte dall’Arcivescovo? Lo diremo nella riflessione della prossima seconda parte. (continua)
Mirro Amoni – Collaboratore Pastorale Sociale del Lavoro Diocesana








