S. Messa crismale – 5 aprile 2023 “Il prete e i ‘piccoli’”

05-04-2023

Chiunque si farà piccolo come un bambino costui è il più grande nel regno dei cieli Chi accoglierà un solo bambino nel mio nome accoglie me

La messa crismale ogni anno ci permette di ricordare la nostra ordinazione, con il rinnovo delle promesse sacerdotali, e di consacrare gli oli per i sacramenti del battesimo, della cresima e dell’unzione degli infermi, che, come tutti i sacramenti, ci donano la Grazia e la liberazione dal peccato. Ci permette anche di ricordare gli elementi essenziali del nostro ministero ordinato che ci chiama e ci abilita ad essere al servizio della comunione ecclesiale nella chiesa locale e universale; ci abilita al servizio di tutti i credenti perché diventino discepoli missionari verso i vicini e i lontani; e al servizio del cammino del popolo cristiano verso il mistero di Dio, per conoscerlo e amarlo sopra ogni cosa.

Rendiamo presente la mediazione di Cristo tra l’umanità e il Padre
È un ministero il nostro che rende presente la mediazione di Cristo tra l’umanità e il Padre; e che ci rende strumento e segno dell’amore di Cristo che scende dalla sua Parola e dai sacramenti e attraverso il nostro ministero sale al Padre come amore riconoscente, come rendimento di grazie, eucaristico.
Il nostro ministero, così prezioso per la vita della Chiesa, non ci rende persone “sacre”, come si dice secondo le categorie delle religioni non cristiane, come se appartenessimo ad un’altra sfera o avessimo una dignità superiore rispetto agli altri battezzati credenti, che sono invece cristiani come noi (cfr. S Agostino). Ma ci chiede un servizio speciale supportato da una vocazione totalizzante, che si sposa bene con il celibato, e da un sacramento che ci abilita non al dominio, ma al servizio, fino alla fine, fino a lavare i piedi dei nostri fedeli.

Don Minzoni, martire per la causa di Cristo
Fino a dare il sangue per loro e per la fedeltà al Vangelo, come ci ha dato l’esempio don Giovanni Minzoni, prete ravennate, figlio della nostra Chiesa diocesana, che “per la causa di Cristo” ha deciso di fare il prete, il parroco, l’educatore, sempre, senza tirarsi indietro e “per la causa di Cristo” ha pagato con la vita il suo impegno, cento anni fa. Non ha considerato “un tesoro geloso” la sua esistenza sacerdotale, ma per diffondere la fede in una parrocchia missionaria e in mezzo a dei ragazzi e dei giovani desiderosi di ideali e di vita vera, si è gettato come il seme nel terreno che, se muore, porta molto frutto: un vero sacerdote martire.
Ecco appunto una differenza che dobbiamo sottolineare in questa celebrazione tra i ministri ordinati e gli altri fedeli: se è vero che siamo tutti chiamati alla santità abbiamo però doni diversi e complementari, nella comunione di un solo Corpo, come ci ha ricordato S. Paolo nella seconda lettura. E il nostro cammino di santificazione come presbiteri, o anche come diaconi, ci chiede alcuni atteggiamenti specifici, da realizzare in modo pieno, radicale. Ci aiuta in questo la parola del vangelo appena ascoltata: il discorso ecclesiale o comunitario di Matteo 18.

Chiunque si farà piccolo come un bambino costui è il più grande nel regno dei cieli
Nelle due parti del capitolo ricorrono due parole: i piccoli e i fratelli. Lo statuto della comunità che sta per nascere al seguito di Gesù comincia a presentarsi non dai capi, dai nobili, dai potenti secondo il mondo, ma dai piccoli e dai bambini. Sono loro da mettere al centro, dice Gesù. Nella società di quel tempo, che non dava alcun peso ai bambini e nemmeno alle altre categorie di “piccoli”, la scelta di Gesù è rivoluzionaria, e va mantenuta, se si vuole salvare il volto della Chiesa come l’ha fondata Lui. Gesù mette in contrapposizione il grande e il piccolo: il più grande nel regno dei cieli sarà colui che diventerà come i piccoli e i bambini. Anzi Gesù stesso si identifica con loro: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”. Come si identificherà con gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i malati, i prigionieri e con tutti i fratelli più piccoli e più poveri, al momento del giudizio finale (Mt 25, 31-40).
Ora se è vero che questa accoglienza e questo rispetto per la dignità dei piccoli e dei bambini nella Chiesa e il farsi “piccoli per il regno dei cieli”, è comandamento obbligatorio per tutti, vale però in modo particolare per i ministri, chiamati a rappresentare anche sacramentalmente il Cristo servo, il Cristo che è “venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti” (Mc 10, 45), il Cristo umile e mite, che cavalca un asinello, che si lascia umiliare e crocifiggere per salvare i suoi fratelli. Non pretende poteri, onori, dignità speciali, titoli, ricompense, garanzie, riconoscimenti, sicurezze, affetti particolari: l’unico amore di cui vive è quello del Padre, che poi trasmette ai suoi discepoli e al mondo intorno a lui. Non è necessario insistere: la fatica a vivere il nostro ministero presbiterale nell’umiltà, nella semplicità, nella povertà in spirito, nella castità esteriore e interiore, nella preghiera assidua e vitale, è una fatica grande. Il nostro cammino specifico di santità è difficile, anche se non è più difficile di quello delle persone coniugate in famiglia o consacrate.

Siamo membra gli uni degli altri
Poi c’è la dimensione del presbiterio, non meno impegnativa. E qui ci illuminano le parole di s. Paolo: “Non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi” (Rom 12, 3ss). La Grazia del ministero ordinato ci inserisce nel corpo ecclesiale con un dono specifico e ci mantiene in comunione tra noi presbiteri e con il vescovo, ma a patto che non ci valutiamo più di quanto conviene, ma in modo saggio e giusto, secondo la misura di fede che abbiamo ricevuto da Dio. Così un presbiterio può crescere non in grandezza, ma in piccolezza, nella piccolezza evangelica che ci rende disponibili e generosi, fedeli e pronti a servire, tendendo sempre alla comunione. Non è facile per degli uomini adulti come noi, che hanno anche tante responsabilità, e che agli occhi del mondo sono dei capi o dei leader da cui gli altri dipendono, mantenere questi atteggiamenti che furono di Cristo. Ma è la nostra via di santificazione ed è la garanzia per l’efficacia missionaria del nostro ministero.
È questa la spiritualità di S. Teresa di Lisieux che ha animato anche l’apostolato e il ministero di don Angelo Lolli: un altro grande prete figlio della nostra Chiesa diocesana, che si è fatto piccolo per i poveri e li ha accolti, che il Signore ci ha dato perché con la sua dedizione così feconda di opere, illuminasse la nostra carità pastorale.

Non scandalizzare uno solo dei piccoli che credono in Cristo
La seconda parte del vangelo che abbiamo ascoltato passa ai problemi della comunità, perché Gesù sapeva di che carne siamo fatti e che all’opposto del suo insegnamento, i discepoli e gli apostoli avrebbero prima o poi dato scandalo ai piccoli, invece di proteggere la loro debole fede o la loro fragile umanità. Fino ad arrivare al disprezzo o a lasciare che qualche piccolo si perda, a causa degli scandali che riceve. Il linguaggio di Gesù qui si fa radicale e drastico con chi scandalizza: “Conviene che sia gettato nel profondo del mare”, “Cava l’occhio, taglia la mano o il piede e gettalo via da te…” Gesù si mette dalla parte delle vittime degli scandali, vede tutta la gravità delle ferite, dell’umiliazione, della vergogna, della depressione in cui sono precipitate a causa dei comportamenti scandalosi di altri cristiani nella comunità.
Ma ancora di più: vede la possibilità che un piccolo ferito e colpito in modo scandaloso sia non ascoltato, non accolto e seguito, non curato e amato, così alla ferita iniziale si aggiunge anche il successivo allontanamento, facendolo sentire disprezzato per una colpa che non ha commesso lui o lei. E sono ferite profonde che incidono la psiche e l’anima, il cuore e lo spirito, fino ad ora non abbastanza capite e condivise anche nella Chiesa. Inevitabile è l’allontanamento non solo da quella comunità, ma anche dal cammino della fede, da Dio, non più percepito come Padre e dalla Chiesa non più sentita come madre. E Gesù ci avverte: Dio Padre suo e nostro, non vuole che si perda neanche uno dei suoi piccoli.
E non vuole che una falsa indulgenza verso chi scandalizza i piccoli permetta loro di continuare a comportarsi come prima: è necessario un taglio, una conversione radicale, un distacco completo e assoluto dagli atteggiamenti che hanno fatto del male ai piccoli, accettando anche una sanzione e una giusta riparazione.

Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda
E la comunità deve vigilare, i suoi ministri ordinati in particolate devono vigilare su sé stessi e sugli altri, e intervenire, per non diventare complici o per non peccare di omissione lasciando correre, non volendo vedere quello che succede.
Non è solo questione di una scorrettezza morale riparabile con la penitenza, qui ci va di mezzo il rapporto con Dio dei piccoli e di tutta la comunità cristiana, ci va di mezzo il nostro giudizio finale, perché su come avremo trattato questi piccoli saremo giudicati, non su altri aspetti più formali del nostro ministero. Ripeto, il comando di Gesù sull’accoglienza e il rispetto verso i piccoli vale per tutti i fedeli, ma vale soprattutto per noi che dobbiamo rappresentare dal vivo l’amore e la cura attenta e vigilante di Cristo sui piccoli della comunità, siano essi bambini, ragazzi, persone fragili o indifese. Ha scritto mons. Parolin: “Una riflessione articolata e competente… non risparmia di evidenziare le contraddizioni in cui la Chiesa in passato è caduta e può ancora cadere, insieme alla sua volontà onesta di aprire gli occhi. Il cambio di rotta, però, deve concretizzarsi in un impegno effettivo e costruttivo per comprendere fino in fondo il fenomeno abuso ed eliminare le condizioni che lo favoriscono.” E ancora: “Da Gesù, che tiene in braccio un bambino e pronuncia severe parole in sua difesa, possiamo e dobbiamo imparare la tenerezza e la responsabilità nei confronti dei piccoli, a tenere come Lui stretta tra le braccia la debolezza di tutti, quella fragilità che richiede custodia amorosa e cura attenta, ma anche una continua e profonda conversione, affinché, come ricorda Papa Francesco, la santità personale e l’impegno morale aiutino a promuovere la credibilità dell’annuncio evangelico e a rinnovare la missione educativa della Chiesa”3. Così il Signore ci aiuti!

+Lorenzo, arcivescovo