S. Messa Crismale – 22 maggio 2021: “Fraternità presbiterale e fraternità laicale”

22-05-2021

Fraternità presbiterale e fraternità laicale

Nei testi del Vangelo (Mc 3, 13-21.31-35) e della seconda lettura (At 20, 17-18.25-38), abbiamo ascoltato come Gesù abbia stabilito un rapporto di fraternità particolare con i suoi dodici chiamati a stare con lui prima di mandarli in missione, a due a due. E come Paolo fosse legato intensamente ai presbiteri di Efeso che aveva chiamato per salutarli, con tanto affetto, prima di affidare loro il futuro delle Chiese da lui fondate, perché esercitassero la sorveglianza, la custodia, l’azione pastorale, collettivamente come presbiterio.

Si intrecciano dei rapporti molto forti tra il Signore e i suoi primi apostoli, così tra Paolo e i presbiteri, dove c’è non solo un rapporto umano di amicizia e conoscenza profonda, ma c’è la condivisione della stessa missione, con la certezza di essere animati dallo stesso Spirito, più che dalle stesse idee.

Gesù però ha intrecciato allo stesso tempo un rapporto altrettanto forte con quelli che stavano seduti attorno a lui e lo ascoltavano con fiducia e ammirazione, con una fede crescente, tanto da definirli suoi “fratello, sorella e madre”. Una nuova famigliarità, una nuova fraternità tra il Maestro e i discepoli, che supera tutti gli altri legami, persino quelli della famiglia e della fraternità di sangue. Paolo e il NT ci rivelano poi che il termine “fratelli” era diventato quello che identificava i cristiani.

Mi pare che in questi tempi di passaggio nella Chiesa universale, segnati dalla prova globale della pandemia – dalla quale si esce solo insieme e con la solidarietà di tutti –, e da una scelta pastorale globale del Papa cioè “la riforma della Chiesa” stessa in senso sinodale e missionario, non possiamo non ritornare sul grande valore della fraternità all’interno dei ministri ordinati, – Vescovi, presbiterio, diaconi–, ma anche all’interno del grande popolo dei laici credenti in Cristo e nella Chiesa.

Per molti secoli nella Chiesa le due fraternità, quella dei chierici e quella dei laici, sono state separate, in due “ordini” diversi. La teologia del Concilio Vaticano II e tutto il Magistero di questi decenni, sono andati in direzione diversa. Ma questo non significa che abbiamo anche già attuato quello che abbiamo capito grazie allo Spirito che guida e ispira tutto il popolo di Dio. Resistenze e compromessi non corretti ci sono ancora.

La Fraternità presbiterale

Già trenta anni fa un Sinodo voluto per rilanciare il Concilio sulla formazione dei sacerdoti, ci ricordava che la fisionomia del presbiterio

“è quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell’Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali ma anche quelle materiali. La fraternità presbiterale non esclude nessuno, ma può e deve avere le sue preferenze: sono quelle evangeliche, riservate a chi ha più grande bisogno di aiuto o di incoraggiamento.” (PDV 74)

Sono parole impegnative: la “vera famiglia” e la “fraternità presbiterale”. Esse provengono da un sacramento, quello dell’Ordine, sono quindi una realtà soprannaturale, sono Grazia non capacità umana. Il sacramento è la fonte, l’origine, il “luogo” della nascita e della crescita della fraternità di ciascuno di noi “nel e con il proprio presbiterio unito al Vescovo”, oltre i bisogni o i valori umani che non sono rifiutati, ma assunti e trasformati.

Rileggendo in questi giorni le prime omelie per la messa crismale, ho visto che più volte sono ritornato su questa realtà e anche sulle difficoltà di applicazione a un presbiterio così composito come quello della nostra diocesi. Gli incontri con voi in questi anni, sia personali che di gruppo, mi hanno fatto vedere che le difficoltà non sono dovute solo alle resistenze personali, ma a differenze oggettive di formazione, di cultura, di accentuazioni teologiche o di idee. E aggiungo a queste due dati che sono veri non solo nel nostro presbiterio: la moltiplicazione dei ruoli e delle attività richieste in questo momento storico alla figura dei parroci, per cui tante possibili relazioni interpersonali tra presbiteri (e diaconi), sono assai limitate. Inoltre, c’è il dato di sempre: il fatto che non ci siamo scelti tra noi, non abbiamo creato un gruppo di amicizia o di simpatia o di condivisione di una idea. Ci siamo sentiti chiamati e ci siamo messi in cammino, non con i compagni che desideravamo, ma con quelli che il Signore aveva scelto, sia in seminario che dopo. A volte anche con compagni di strada che non avrebbero dovuto iniziare un percorso vocazionale, perché non erano adatti alla vita celibataria o al servizio alla Chiesa e non sempre è stato fatto un discernimento efficace. Nonostante queste difficoltà, devo dire che nel nostro presbiterio c’è anche tanta solidarietà, condivisione, amicizia, aiuto personale, pazienza e capacità di perdono e di riconciliazione, magari senza troppo clamore. Sono conquiste, queste, in un presbiterio, che non vanno sottovalutate, perché sono i segni che lo Spirito di Dio sta operando, aprendo dei cuori e sciogliendo durezze, freddezze o sospetti. Poi è vero che c’è qualcuno più fragile, ma va aiutato ancora di più da chi riesce a trovare la via giusta per il dialogo con lui, con un occhio e una cura particolare.

La nostra forza di oggi e per gli anni che ci stanno davanti, è il sacramento dell’Ordine per il quale siamo “collegati con un vincolo personale e indissolubile con Cristo unico sacerdote” e siamo inseriti nella comunione del presbiterio, congiunto con il Vescovo. E non possiamo dimenticare che nonostante qualche fatica e disattenzione, qualche tendenza all’isolamento e all’individualismo, qualche sgarbo purtroppo, ma come succede tra fratelli… la nostra unità è necessaria, è essenziale per il nostro ministero, che deve essere svolto in modo collettivo e fraterno. L’unità presbiterale anche se imperfetta, se è vissuta nello spirito della carità pastorale e del perdono reciproco, ci rende testimoni di Gesù Cristo, che ha pregato il Padre “perché tutti siano una cosa sola”. E ci permette di concorrere con i laici a edificare la Chiesa nell’unità e nella pace.

Aggiungo che anche i sacerdoti religiosi sono uniti al nostro presbiterio, sulla base del sacramento dell’Ordine e dai legami della carità apostolica, della condivisione dei servizi ministeriali e da una fraternità sentita e vissuta. Lavoriamo per la stessa causa, cioè per l’edificazione del corpo di Cristo nella nostra terra di Romagna, abbiamo bisogno dei loro carismi e dei loro contributi specifici alla nostra azione pastorale, soprattutto in questi tempi.

La fraternità laicale

Su questa natura comunionale del ministero ordinato si è soffermato a lungo il Concilio, esaminando distintamente il rapporto del presbitero con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri e anche con i fedeli laici.

Grazie alla nuova visione teologica proposta dalla Lumen Gentium e dalla Presbiterorum Ordinis, sappiamo bene che il ministero non ci è dato per far parte di una categoria di livello superiore a quello dei laici, in uno stato di sacralità che ci renderebbe intoccabili, con la possibilità di esercitare il potere sulle coscienze e sulla vita degli altri, col rischio di commettere prevaricazioni o anche abusi terribili e drammatici per chi li subisce, ma nemmeno ci è dato come  un carisma speciale per la nostra autorealizzazione o per cercare il nostro interesse. Tutto quello che ci è dato, per Grazia, lo abbiamo per metterlo a servizio degli altri nella Comunità ecclesiale. “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35)

Grazie alla nostra formazione siamo stati aiutati entro la Chiesa comunione, a maturare la coscienza che il nostro ministero è finalizzato non a elevare o affermare noi stessi, ma “a riunire la famiglia di Dio come fraternità animata dalla carità e a condurla al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo” (PO 6).

Da anni ci diciamo che i ministri ordinati devono crescere nella consapevolezza della profonda comunione che li lega al Popolo di Dio: non sono soltanto davanti alla Chiesa, ma anzitutto nella Chiesa. Secoli di clericalismo ci hanno abituato a considerarci separati e diversi, superiori ai laici. E anche i laici l’hanno creduto. Invece il sacerdote è “fratello tra fratelli” (PDV 20).

“Il Concilio afferma, anzitutto, la vocazione comune alla santità. Questa vocazione si radica nel Battesimo, che caratterizza il presbitero come un fedele (Christifidelis), come «fratello tra fratelli», inserito e unito con il Popolo di Dio, nella gioia di condividere i doni della salvezza e nell’impegno comune di camminare «secondo lo Spirito», seguendo l’unico Maestro e Signore. Ricordiamo la celebre parola di Sant’Agostino: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di un ufficio assunto, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza»” (PDV 74)

Con il Battesimo, ricevuta la stessa dignità e la stessa libertà di tutti gli altri figli di Dio, il sacerdote è membro dello stesso e unico Corpo di Cristo (Ef 4,16). Si santificherà per la sua vita santa, se eserciterà il suo prezioso ministero a imitazione di Cristo Servo, Pastore e Sposo della Chiesa. Il ministero non garantisce l’immunità dal peccato, come sappiamo bene, visto che abbiamo bisogno di confessarci come gli altri. Sul battesimo, sulla cresima, sull’eucaristia e sull’adesione fedele alla Parola di Dio, strumenti di salvezza comuni per tutti i fedeli di Cristo, fondiamo la nostra fraternità con i fedeli laici. Una fraternità di cui abbiamo bisogno noi e loro, per essere una Chiesa sinodale che cresce nella comunione e di conseguenza nella efficacia missionaria. Non ci sarà una Chiesa sinodale se le due fraternità, quella presbiterale e quella laicale, non si intrecceranno, se non ci accoglieremo come parenti stretti dentro l’unica grande famiglia, ciascuno col suo dono e la sua vocazione, ma tutti preoccupati solo del bene comune familiare.

Del resto, il Magistero attuale ci insegna che i presbiteri,

“poiché la loro figura e il loro compito nella Chiesa non sostituiscono, bensì promuovono il sacerdozio battesimale di tutto il popolo di Dio, conducendolo alla sua piena attuazione ecclesiale, si trovano in relazione positiva e promovente con i laici. Della loro fede, speranza e carità sono al servizio. Ne riconoscono e sostengono, come fratelli ed amici, la dignità di figli di Dio e li aiutano ad esercitare in pienezza il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa” (PO 9).

E ancora: Il sacerdozio ministeriale e quello comune dei fedeli, sono tra loro coordinati, derivando entrambi dall’unico sacerdozio di Cristo. “Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggiore grado di santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito” (cfr. PDV 17).

E la coscienza di questa comunione sfocia nel bisogno di suscitare la corresponsabilità nella comune missione, con la valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre per l’edificazione della Chiesa, con una attenzione speciale ai giovani e soprattutto alle donne, che hanno ora nuove prospettive ministeriali. Questo rende sempre più necessaria una proposta formativa adeguata a persone adulte. Per i presbiteri si ritengono necessari otto anni, per i diaconi almeno quattro e per i laici? Certo abbiamo la Scuola di Formazione Teologica diocesana che sta crescendo, e l’Istituto di scienze religiose interdiocesano di Forlì, ma quanti laici riusciamo a coinvolgere, sostenere e promuovere? Quante donne? Il capitolo della formazione dei laici resta aperto…

In conclusione, una obiezione. Se siamo pienamente coinvolti anche nella fraternità con i laici, se siamo a servizio del loro sacerdozio battesimale, se abbiamo il compito di accoglierne e provocarne la corresponsabilità, dobbiamo rinunciare alla funzione di guida? Non abbiamo nessuna autorità in mezzo a loro?

Sì, l’abbiamo, ma nel senso che siamo chiamati a rivivere l’autorità e il servizio di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, riunendo «la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità» e conducendola a Lui. Un compito delicato e complesso, che include, l’attenzione alle singole persone e alle diverse vocazioni, la capacità di coordinare tutti i doni e i carismi che lo Spirito suscita, verificandoli e valorizzandoli per l’edificazione della Chiesa, sempre in unione con il Vescovo.

Non è questione di capacità manageriali o di gestione del personale, il nostro è un ministero che richiede una vita spirituale intensa e le virtù dell’«anziano», cioè: fedeltà, coerenza, saggezza, accoglienza di tutti, tanta misericordia, fermezza sulle cose essenziali, libertà da idee troppo soggettive, disinteresse, pazienza, impegno quotidiano, e soprattutto una grande fiducia nel lavoro nascosto della Grazia di Dio, che agisce sempre dove c’è un cuore semplice e una vera umiltà (cfr. PDV 26).

L’Eucaristia che celebriamo ogni giorno ci trasformi sempre più in Colui che offrendo la sua vita ci ha portato la liberazione da tutti i mali, la pace e la misericordia, nell’attesa che si compia la beata speranza e Gesù venga come nostro Salvatore.

+ Lorenzo, Arcivescovo