Omelia di S. Apollinare – 23 luglio: “L’impegno dei cristiani nella società e nella politica”

27-07-2015

Sant’Apollinare

 

Ravenna, 23 luglio 2015

 

Una comunità convertita dal dono del Vangelo edifica la città degli uomini con la carità

 

L’impegno dei cristiani nella società e nella politica

 

Se il Signore non costruisce la casa,

invano si affaticano i costruttori.

Se il Signore non vigila sulla città,

invano veglia la sentinella.

 

Invano vi alzate di buon mattino

e tardi andate a riposare,

voi che mangiate un pane di fatica:

al suo prediletto egli lo darà nel sonno.

 

Ecco, eredità del Signore sono i figli,

è sua ricompensa il frutto del grembo.

Come frecce in mano a un guerriero

sono i figli avuti in giovinezza.

 

Beato l’uomo che ne ha piena la faretra:

non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici.    

(Salmo 127)

 

Perché scegliere il salmo 127, un’antica preghiera ebraica, per la messa di sant’Apollinare, nostro primo Vescovo, fondatore della Chiesa di Ravenna e Patrono delle Chiese dell’Emilia Romagna?

Il testo più che una preghiera è una professione di fede nel Dio provvidente ed è la affermazione che c’è bisogno di Dio perché tutta la vita umana si realizzi e progredisca. Vengono scelte come realtà simboliche, la casa, la città, il lavoro, i figli, le lotte contro chi minaccia il vivere insieme. Si riconosce che c’è bisogno ovunque della sua benedizione e della sua forza che sorreggano l’uomo nel suo compito di primo collaboratore all’opera di Dio creatore e padre.

 

E vorrei riflettere con voi su questo: possiamo noi credenti in Gesù Cristo, costruire oggi la nostra casa, vigilare e custodire la nostra città, lavorare con frutto, generare figli, escludendo la dimensione religiosa dalla vita sociale, dalla vita economica, dalla politica, dall’esercizio delle professioni, dal mondo dell’impresa, dai servizi sociali, insomma da tutto quello che è vita pubblica? Perché la tendenza della mentalità secolarizzata è stata non solo quella di distinguere tra questi ambiti (cosa giusta: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio”, cfr. Mt 22, 21), ma di separarli e di escludere dalla vita civile la dimensione religiosa, relegandola nel privato e riducendola a “sentimento religioso”, cioè qualcosa di irrazionale, di emotivo e del tutto soggettivo (E.G. 182).

 

Ora però anche chi analizza con occhio laico le nostre società, si sta accorgendo della “permanenza” del sacro e della religione (Ries, Thompson, Diotallevi), alla quale vengono riconosciuti, oltre alla capacità di dare risposte alle domande profonde sulla vita e la morte, una serie di influssi positivi sulle comunità:  cioè la correzione degli squilibri sociali, l’integrazione degli stranieri e degli immigrati, l’attivazione del volontariato, la formazione alla solidarietà, il mantenimento del legame sociale con le giovani generazioni, un impegno educativo verso la giustizia e la pace senza paragone con altre agenzie… 

Inoltre ci si accorge in questi tempi che di fronte a certe modalità di affermazione di alcune religioni, ci si trova disarmati culturalmente, senza le categorie e la sensibilità adatta a capire e affrontare fenomeni diffusi, pericolosi, resistenti alla pura repressione con la forza. Chi, se non la dimensione religiosa, ci permetterà di passare dallo scontro frontale tra religioni e civiltà, al dialogo con queste forze, in vista di una possibile convivenza?

 

Costruire la casa, custodire la città

Che cosa significa che non si può “metter su” casa, fare famiglia, prepararsi un futuro, senza il Signore, altrimenti ci si affatica invano? Mi pare sia evidente che ogni casa, ogni famiglia è una costruzione debole, per i limiti che si portano dentro le persone che la compongono. Anche i rapporti più intensi e fondamentali sono fragili, a rischio, perché il cuore umano (Gaudium et Spes, 10), è segnato dal conflitto interno tra valori o ideali grandi e nobili e i bisogni egoistici di affermazione di sé, di ricerca del benessere, del puro potere. Una divisione interiore che si riflette in tutte le relazioni umane e sociali. Anche i figli non sono più visti come un dono di Dio, la sua “eredità” –come dice il salmo – e come una sicurezza per affrontare il futuro, ma come un peso e un rischio. La constatazione dell’antico credente ebreo è che senza affidarsi al Signore, senza la forza interiore che viene dalla fede in Lui, non basta la Legge esterna per riuscire a realizzare progetti buoni e a far progredire la comunità umana.

 

E stando al testo, il discorso vale anche per la città, quindi per la politica, l’economia, il mondo del lavoro, ma anche per il mondo dell’informazione e quello della cultura. Purtroppo è facile per i cittadini, per i lavoratori, per i politici, per gli operatori della comunicazione, per i professionisti, mettere in moto forze di contrapposizione, che cercano solo l’interesse individuale o del proprio gruppo (sia il gruppo locale, sia quello ideologico o mosso da interessi economici), col risultato che si provocano conflitti e disgregazione. Così che anche i beni comuni che tutti utilizzano insieme, necessariamente, come l’aria, l’acqua, l’energia, fino alle strade, ai servizi di condominio, oppure l’istruzione, i servizi sociali o la sanità… tutto diventa occasione di conflitto, di accaparramento, di carrierismo, di corruzione o di concussione, di esclusione, e così si disgrega la città. Anche i rapporti sociali quindi sono segnati dalla nostra fragilità e dalla malizia, che si traducono in ingiustizie e in disordine, dove i più danneggiati sono i più deboli, i più poveri. Il Salmo diceva: senza il Signore invano veglia la sentinella, o vigila il custode!

 

Esaltare la libertà individuale contro un’etica condivisa?

Ci chiediamo: perché l’esaltazione dell’individuo e delle sue pretese, o dei bisogni di un gruppo, che vanno contro il bene comune, non sono più sentiti come un male, nella coscienza collettiva dei nostri giorni? O perché in alcuni casi si lascia che le persone li possano addirittura far passare come diritti?  Ci rendiamo conto che questo danneggia seriamente il vivere insieme? Perché se tutto diventa relativo all’individuo o al suo gruppo, se tutti i desideri devono potersi esprimere liberamente senza alcun limite alla libertà individuale, non ci sarà più posto per un’etica condivisa, sentita e sostenuta da tutti, soprattutto dalle realtà educative, che non sapranno più cosa trasmettere.

 

Mi pare di capire dai nostri cristiani, che spesso i codici deontologici o etici, che devono regolare le professioni, sono sentiti come formali e si trasgrediscono senza troppi scrupoli. E questo non avviene solo per chi si impegna nella nobile fatica della politica, dell’amministrazione pubblica – dove comunque i casi di corruzione e di conflitti di interessi sono troppi –, ma anche nelle professioni e nel mondo delle imprese. La conseguenza è che sia le istituzioni, sia il mondo del lavoro e dei mass-media diventano troppo permeabili dalle organizzazioni che fanno affari senza badare al tipo di mezzi, e a volte anche dalle organizzazioni delinquenziali, delle quali si diventa veri e propri complici. E non bastano certo le prese di distanza formali…

 

Fede, etica e politica

La riflessione che discende dal salmo è che non possiamo separare completamente nella realtà umana l’aspetto religioso, fonte di valori umani fondamentali, dall’aspetto morale, cioè la spinta a cercare il bene e a evitare il male e dall’aspetto giuridico, che li traduce in ordinamenti positivi, grazie all’azione della politica che elabora leggi e regole e le fa eseguire. Possiamo e dobbiamo distinguere questi ambiti, anche perché le leggi non riescono a contenere tutta la ricchezza dei valori morali, e l’agire morale non esaurisce il rapporto dell’uomo con Dio: rapporto che è fatto anche di grazia, di perdono, di guarigione di illuminazione, di amore vero e di gioia.  

 

Distinguere gli ambiti è necessario, per non ricadere in qualche forma di teocrazia, dove il potere religioso si impone direttamente sullo Stato; o in qualche forma di domino dello Stato sulla religione, per strumentalizzarla e asservirla.  Ma non si devono nemmeno separare la fede, dalla morale, dall’agire politico, altrimenti non sapremo più a cosa appellarci per contrastare la voracità, la violenza, la prepotenza, l’abuso sui più deboli, da parte di chi è posseduto dal demone dell’egoismo e ha conquistato qualche forma di potere: perché non dovrebbe approfittarsene?

 

Distinguere i piani e non separarli, significa però anche mantenere un primato. Sulla legge umana, deve prevalere la coscienza morale ben formata, maturata alla luce della ragione, dell’esperienza e del confronto con il vangelo di Gesù Cristo. Perché c’è un primato del “grande comandamento” – quello dell’amore di Dio e del prossimo – sulle esigenze del singolo e della comunità. È questa infatti la radice vera del bene comune: la legge dell’amore, che ispira tutto l’agire morale e ha una conseguenza sociale imponente (E.G. 177). Per esempio: una legge condivisa da molti, ma che andasse contro il comportamento amorevole e rispettoso del buon samaritano del Vangelo, che soccorre un moribondo anche se straniero e nemico, per un cristiano sarebbe ingiusta, da obiettare, facendo prevalere la propria coscienza. E con questo comportamento ispirato al Vangelo il cristiano favorirebbe l’illuminazione della coscienza degli altri concittadini e forse alla lunga il cambiamento della legge stessa.

Nella storia del Cristianesimo, si è trovata una sintesi di questo rapporto tra fede e agire politico, nella grande virtù morale della giustizia, realizzata sia a livello personale che a livello sociale, ma con l’attenzione che essa sia moderata e arricchita dalla misericordia (D.M. 12). Essa infatti toglie alla giustizia un po’ della sua durezza e arriva là dove la giustizia non può arrivare.

 

L’impegno dei cristiani nella società e nella politica

E noi cristiani che ci troviamo immersi in questa realtà sociale con i dilemmi e le difficoltà che ci coinvolgono, come dobbiamo agire?  I laici cristiani che si impegna direttamente nella vita pubblica e nella politica, – ed è una vocazione importante alla quale solleciterei molti dei nostri fedeli laici giovani e adulti – cosa devono promuovere?

 

(in allegato il documento integrale)

 

+Lorenzo, Arcivescovo