Omelia della Messa del Crisma – 27 marzo: “La santificazione del clero: per un presbiterio missionario, servo, unito”

15-04-2013
Omelia della Messa del Crisma
Ravenna, 27 marzo 2013
 
LA SANTIFICAZIONE DEL CLERO: PER UN PRESBITERIO MISSIONARIO, SERVO, UNITO.
È Gesù, come ben sappiamo, il primo consacrato dal Padre. E lo Spirito Santo è stato l’artefice di questo mandato che lo ha costituito Messia e Signore, un Dio fatto uomo che ha liberato l’umanità dalla corruzione del peccato e dalla morte; ben oltre quindi le attese di Israele, ma anche oltre le aspettative delle religioni e degli uomini spirituali di ogni tempo. Il drammatico racconto della Passione che rappresenta il culmine di tutti i quattro Vangeli, ci ha fatto scoprire in che modo egli ci ha amato e liberato dai nostri peccati: ‘con il suo sangue prezioso’! E fino a che punto ha obbedito alla volontà del Padre di salvare e raccogliere i suoi figli dispersi: ‘Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue’ ‘dice l’Apocalisse ‘, ha anche ‘fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre’ (Apc 1,5).
Così a tutti i credenti, è stata data la possibilità di accedere a Dio; di essere riconciliati con lui; di fare nello Spirito santo, l’esperienza affettiva e mistica, ma reale, della paternità, per cui possiamo chiamarlo ‘Abbà’.
Abbiamo di nuovo accesso al cuore di Dio, dopo che la morte del Signore Gesù ha fatto cadere il velo dei nostri peccati. La sua grazia, che, in termini relazionali, è il suo amore personale e gratuito, misericordioso e fedele dentro la nostra vita, viene riversata nei nostri cuori, di nuovo per opera dello Spirito santo, che prega e ama in noi. Grande è il mistero della nostra fede! Grande è la nostra dignità, ristabilita a prezzo della vita del Figlio di Dio!
Carissimi presbiteri e diaconi, in questo rapporto di grazia e salvezza, tra Dio e il suo popolo, si inserisce la figura degli apostoli, dei ministri ordinati, che partecipando della consacrazione di Gesù, sono nella Chiesa la sua presenza sacramentale, viva ed efficace. Siamo noi, in ogni Chiesa particolare, Vescovo, Presbiterio e Diaconi, gli ‘ambasciatori di Cristo’, a servizio della sua azione di salvezza, qui e ora, per tutti i fedeli. Strumento necessario, perché non si insinui nel popolo cristiano l’idea che ci si possa salvare da soli, con le proprie opere giuste, senza bisogno di ricevere invece, attraverso la Chiesa, il dono della salvezza. È Gesù stesso che ha voluto far passare l’amore gratuito e salvifico di Dio attraverso la carne della sua Chiesa, come ‘una volta per tutte’ il suo amore si è manifestato attraverso la sua carne umana offerta per noi e per tutti in remissione dei peccati.
Questo ci esalta e ci riempie di timore contemporaneamente. Noi sappiamo bene che siamo portatori di questo tesoro in vasi di argilla. E la richiesta del Signore che non siamo puri funzionari del sacro, ma testimoni in prima persona di quello che predichiamo, ci mette in imbarazzo. Come Pietro la notte dell’arresto di Gesù, sperimentiamo anche noi l’infedeltà dopo l’entusiasmo iniziale, gli allontanamenti da lui, il peccato e la fragilità, e finalmente anche il rimorso sotto il suo sguardo liberatore. Da cristiani maturi sappiamo però anche assumerci le nostre responsabilità, riparare il danno fatto, tirare le conseguenze dai nostri atti sbagliati e fare le scelte opportune perché il ministero della Chiesa non sia danneggiato e i deboli nella fede non siano offesi, ostacolati nel cammino. Come i sacerdoti dell’antica alleanza dobbiamo sempre offrire prima per i nostri peccati che per quelli del popolo’ Ma accogliamo anche con gioia e riconoscenza, l’invito di Gesù a convertirci, a lasciarci riconfermare nella fede da Pietro e dai suoi successori, a rinnovare la dichiarazione di amore per lui, il Pastore buono, che ci ha affidato i suoi agnelli e le sue pecore.
Certo ci sono realtà che ostacolano oggettivamente il nostro ministero: per esempio, le difficoltà materiali soprattutto nelle parrocchie più povere, la storia delle nostre terre con una partecipazione molto bassa alla vita comunitaria, la solitudine, le abitudini ereditate, la grande e subdola influenza del mondo con i suoi idoli, le sue seduzioni e le sue manipolazioni della verità. Così come altre cose ci mettono in difficoltà anche nei rapporti tra di noi: per esempio, la scarsità di mezzi per la vita quotidiana in alcuni casi, le incomprensioni, le distanze e le differenze culturali, che potrebbero essere un dono in un clero così variegato, la fatica di avere o di dare fiducia, magari dopo qualche esperienza che ci ha ferito, insieme con le tentazioni umane di sempre che ha voluto sperimentare anche Gesù.
In questi due mesi di presenza nella diocesi di Ravenna Cervia, dopo aver incontrato sul territorio quasi tutti voi presbiteri e diaconi nei vicariati, e dopo averne ascoltato personalmente un certo numero, ho visto anche tanto impegno, tanta fedeltà, tante iniziative di evangelizzazione a vicini e in parte anche ai lontani, di catechesi per ragazzi e adulti, di opere di carità e di impegno educativo, che dimostrano la serietà della risposta vocazionale di moltissimi. Ho già intravisto il sacrificio quotidiano che segna positivamente la vita spirituale e l’azione pastorale di molti. Ne rendo grazie a Dio e anche a tutti voi. Come ci insegna il libro degli Atti, la Parola si diffonde con la sua forza e aggancia alla comunità sempre nuovi credenti, ma cammina sulle gambe degli apostoli e apre i cuori grazie alla loro testimonianza sofferta e gioiosa: gli Apostoli erano lieti di poter soffrire per il loro Signore, perché fosse conosciuto e amato.
Non conosco ancora tutti, né tutte le situazioni, e per me risulta difficile fare valutazioni approfondite. Così come mi è difficile entrare in alcuni aspetti della nostra storia diocesana, passata e recente. Spero di poterlo fare con il vostro aiuto e la vostra pazienza. Siamo tutti chiamati seppure con doni diversi a servire ed edificare questa bella Chiesa di pietre vive di Ravenna’Cervia, dove ciascuna ha bisogno del nostro rispetto e della nostra cura, perché sia ancora più viva; ha bisogno meno del nostro giudizio e più della nostra misericordia. Così, alla fine, anche per noi ministri della Chiesa ‘la misericordia avrà la meglio sul giudizio’.
In più ci sono alcune caratteristiche della situazione del clero che si possono certo accettare, ma non cambiare, come per esempio: l’età, i problemi di salute, certi caratteri stabilizzati negli anni, certi doveri familiari’ Su altri aspetti è sempre difficile fare valutazioni, come i risultati pastorali di uno stile di ministero piuttosto che di un altro o il consenso dei fedeli a volte positivo a volte no, o l’incarico più adatto a ciascuno.
Però ci sono anche alcuni atteggiamenti che invece possono e debbono essere coltivati e fatti crescere tra noi: penso al rispetto e alla stima che si devono sempre avere per la persona dei confratelli e per il loro impegno; alla mitezza da esercitare nei giudizi sulle scelte che non condividiamo; all’esercizio della carità tra noi, che ha bisogno certo della correzione fraterna per essere vera, ma con i modi che terremmo per dei fratelli di sangue, per i nostri familiari.
E il presbiterio, sulle orme dei 12 scelti da Gesù perché ‘stessero con lui e anche per mandarli a predicare’, è la ‘nuova famiglia‘ dei presbiteri: ‘Ecco mia madre e i miei fratelli’ ‘ diceva Gesù dei suoi discepoli. Il presbiterio è un corpo solo, con un capo e servo di tutti i fratelli che è il vescovo, con degli altri fratelli che sono i diaconi. Un corpo unito da un sacramento, che imprime un sigillo, ma ancor prima è unito da una medesima vocazione, da una medesima appartenenza personale al Signore, seguito e amato con un cuore obbediente, casto e povero. Con l’entrata nel presbiterio diocesano, siamo talmente uniti alla Chiesa di Cristo, che la nostra identità è trasformata dall’essere ‘sposi nella Sposa‘ del Signore, in comunione piena con lei.
Insieme alla carità fraterna che deve scorrere tra noi, siamo anche caratterizzati tutti quanti dal ‘nuovo nome’ che ci è stato dato quando siamo stati ordinati e inseriti nel presbiterio della Chiesa particolare: siamo stati chiamati ad essere ‘pescatori di uomini’, apostoli, cioè missionari. Non noi abbiamo scelto di fare i preti, ma lui ha scelto noi, e ci ha costituiti perché annunciassimo Lui e il suo vangelo a tutti.
Certo siamo chiamati giustamente anche ‘ministri‘, cioè servi e riceviamo tutti il primo grado del sacramento dell’Ordine, il diaconato, affinché l’atteggiamento del servizio condizioni positivamente tutto il nostro operare. La ‘diaconia’ rimane la radice che sostiene e alimenta tutto il ministero ordinato, fino a Pietro compreso. Il gesto della lavanda dei piedi agli apostoli da parte di Gesù ne è la prova e l’esempio, per noi vincolante.
Ma l’assumere la missione della Chiesa, ‘cioè portare Cristo al mondo e il mondo a Cristo ‘, è oggi la necessità più urgente visto che la maggioranza della nostra gente sembra vivere come se Dio non esistesse, pur essendo magari battezzata. È dunque questa la qualità che più deve caratterizzare la nostra identità comune e la nostra pastorale. Non si tratta di aggiungere cose da fare, anzi, di ridurne alcune, perché lo stile missionario della nostra vita di apostoli sia più chiaro. È il fine della nostra vita diaconale, presbiterale, episcopale. Siamo chiamati infatti ad uscire, a incontrare, a camminare verso gli altri. Come Gesù nella preghiera sacerdotale quando ricorda che ha ‘altre pecore che non sono di questo ovile’ e anche per quelle prega e si preoccupa.
Benedetto XVI all’apertura del Sinodo sulla nuova evangelizzazione (ottobre 2012) disse: ‘La Chiesa esiste per evangelizzare. ‘Una delle idee portanti del rinnovato impulso che il Concilio Vaticano II ha dato all’evangelizzazione è quella della chiamata universale alla santità, che in quanto tale riguarda tutti i cristiani (cfr. LG 39-42). I santi sono i veri protagonisti dell’evangelizzazione in tutte le sue espressioni. Essi sono, in particolare, anche i pionieri e i trascinatori della nuova evangelizzazione. ‘La santità non conosce barriere culturali, sociali, politiche, religiose. Il suo linguaggio ‘ quello dell’amore e della verità ‘ è comprensibile per tutti gli uomini di buona volontà e li avvicina a Gesù Cristo, fonte inesauribile di vita nuova‘.
 In conclusione vorrei quindi proporre due gesti concreti per sostenere il cammino di tutti noi ministri ordinati.
Il primo è la preghiera costante per la santificazione del clero diocesano: la missione ha bisogno di diaconi, presbiteri, vescovi santi, cioè obbedienti, casti poveri; veri servi dei loro fratelli; uniti in una sola famiglia. Io celebrerò da oggi tutti i giorni l’eucaristia per questa intenzione, invocando insistentemente la crescita nella santificazione dei ministri ordinati della nostra chiesa particolare. Chiedo anche a voi di pregare insistentemente per voi stessi, per la vostra vocazione e la vostra missione nelle situazioni che vi sono state affidate. E chiedo a tutto il resto del popolo di Dio, consacrati e laici, giovani e adulti, di pregare ogni giorno per la santificazione non solo del Vescovo, ma di tutto il clero.
Il secondo gesto concreto è quello di istituire nei prossimi giorni un fondo di solidarietà per i sacerdoti più in difficoltà. La diocesi metterà qui una quota non piccola, io metterò una percentuale del mio conto corrente, e invito anche quelli di voi che possono farlo a impegnarsi.
Ci affidiamo a Maria, (alla Madonna greca) alla cui maternità sono stati affidati da Gesù sulla croce i discepoli che il Signore ama.
+ Lorenzo, Arcivescovo