Omelia della IV domenica C – 3 febbraio: “Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei”

15-04-2013
Omelia della IV domenica C
S. Biagio – Ravenna, 3 febbraio 2013
 
Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei.
Luca ha un modo tutto suo di leggere questo episodio. Matteo (13,53-58) e Marco (6,1-6) sottolineano che l’atteggiamento di Gesù era per gli abitanti di Nazareth motivo di scandalo. Luca sembra invece raccontarci un atteggiamento positivo dei concittadini di Gesù, almeno all’inizio: vedi la meraviglia per le parole di grazia che uscivano dalla bocca di uno che avevano conosciuto da sempre, il figlio di Giuseppe. È proprio l’origine di Gesù il motivo di scandalo riportato da Matteo e Marco. Per Luca lo scandalo è Gesù che lo provoca citando il proverbio ‘medico cura te stesso’.
‘Fallo anche qui, nella tua patria!’
Gesù sembra intuire, non tanto che non gli si voglia credere (come in Mt e Mc), ma che lo si voglia solo per sé, solo per la propria patria, il proprio villaggio nativo. Gesù è cresciuto a Nazareth, è il figlio di Giuseppe, qui è di casa, è dei nostri… qui deve fare quanto ha fatto a Cafarnao.
Gesù invece provoca i suoi compaesani, dopo trent’anni di vita insieme, senza rispetto umano e senza compromessi, perché è venuto per portare la verità dell’amore di Dio, che non vuole avere limiti e vuole considerare tutti gli uomini suoi figli e che essi si considerino tutti della stessa famiglia. Così cita due episodi della Scrittura (1Re 17 e 2Re 5), che riguardano due grandi profeti Elia e Eliseo, in cui la grazia di Dio supera i confini d’Israele, non tiene conto né della geografia, né della appartenenza. È abbandonata così da Gesù l’idea di ‘popolo eletto’ inteso come l’unico amato da Dio e l’idea di ‘elezione’ come esclusione degli altri popoli, anziché come la scelta di un popolo che fosse a servizio di tutti gli altri.
Questa citazione, propria di Luca, mette in guardia i cristiani di allora e di oggi dall’appropriarsi del Vangelo, della Chiesa, della Parola di Dio o dei sacramenti come se fossero solo per alcuni, o solo utilizzabili alle loro condizioni. Uno dei pericoli infatti di coloro che credono, è quello di considerarsi possessori unici di un privilegio che li rende destinatari prediletti, se non esclusivi, della grazia di Dio, della conoscenza di lui: cosa che li porta a sentirsi migliori e superiori. Il rischio è quello di perdere la dimensione missionaria e universale della fede cristiana e di rinchiudersi nei gruppi fatti solo di coloro che sono dei nostri.
Pericolo di chiusura in cui possiamo cadere anche noi oggi per un’altra causa: l’esperienza della persecuzione. Aperta o subdola, sui mass media o negli ambienti di lavoro, essa deride il cristianesimo o lo svaluta perché è solo conservatore di valori e idee del passato, della legge naturale applicata al vivere e al morire, della famiglia tradizionale, dei comportamenti moderati dal pudore e dal rispetto, dall’onestà e dal senso del dovere, dal rispetto della legalità, ecc. Questa chiusura, può avere anche un’altra causa oggi: la paura delle diversità di cultura, costumi e tradizioni religiose di cui sono portatori gli stranieri e gli immigrati.
In ogni caso, da qualunque causa provengano queste chiusure, alla fine possono danneggiarci. Il Concilio Vaticano II ci propone invece l’atteggiamento giusto, positivo. Esso afferma che la Chiesa ‘favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva’ (LG 13). Occorrerà sempre più esercitare un sano discernimento, elaborato insieme con tutta la comunità, vista la velocità dei cambiamenti di costumi, di culture e anche di genti che si susseguono sulle nostre terre, per trovare quanto c’è di buono, di coerente con la visione di uomo e di società che a noi vengono da Vangelo. Dio semina e agisce anche fuori dei nostri confini, se trova cuori disponibili. A noi l’intelligenza di scoprirli e allearci con quanto c’è di veramente umano, di giusto e vero in chiunque. Ricordando che la Grazia di Dio ci è stata fatta conoscere proprio perché se ne potesse dare testimonianza ‘sapendo che il messaggio evangelico non è riservato a un piccolo gruppo di iniziati, di privilegiati o di eletti, ma destinato a tutti’ (Ev Nuntiandi 57).
‘Si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città’
Il giudizio espresso da Gesù è confermato dalla reazione dei nazareni che cacciano fuori e vogliono uccidere questo ‘profeta’ che rifiuta di mettersi al loro servizio, che non accetta di identificarsi nella sua città e guarda lontano, oltre i confini di una mentalità chiusa e ristretta, paurosa e interessata.
Il tentativo, posto all’inizio della sua missione, fa già intravedere il Figlio ucciso fuori dalla vigna (Lc 20,15), e il Figlio dell’Uomo innalzato sulla croce fuori di Gerusalemme. Ma Gesù non si ferma, anzi.
‘Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino’.
 La reazione violenta sembra diventare impotente di fronte a Gesù che passa e si incammina. Nessuno può usare Gesù solo per sé, catturarlo per legarlo alla propria fede, alla propria esperienza, al proprio gruppo o partito. Gesù passa in mezzo agli uomini, non si ferma nella città – «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38) -, continua la sua strada perché anche noi ci mettiamo in cammino e facciamo conoscere la sua Chiesa come la casa aperta tutte le genti, la famiglia delle famiglie dei popoli, un corpo animato dalla carità che include e mai esclude, una comunione che si alimenta di tutti i carismi e i doni da qualunque parte essi provengono, un gregge che non vuole essere deprivato di nemmeno una delle sue pecorelle, anzi si mette in cammino nel mondo per cercare vicino e lontano di chiamare tutti a partecipare della gioia del Vangelo, della grazia dell’amore di Dio.
+ Lorenzo, Arcivescovo