Assemblea Diocesana di inizio anno pastorale – 19 settembre: “Parrocchie, è tempo di partire!”

24-03-2016

Assemblea Diocesana

di inizio anno pastorale

 

Ravenna, 19 settembre 2015

 

Parrocchie, è tempo di partire!

Insieme portiamo nelle case e nelle piazze la gioia del Vangelo (Lc 10,1-12.17-20)

 

Introduzione: Le nostre parrocchie sono comunità cristiane in stato di missione.

Perché questa insistenza sul tema missione? Solo per obbedienza al Papa Francesco che ci ha chiesto di riformare la Chiesa universale e tutte le chiese particolari perché siano in uscita missionaria? Solo perché a Ravenna e dintorni è stato sparso il sale dell’anticlericalismo e dell’ateismo militante affinché non crescesse più un filo verde di fede e molti nostri concittadini sono convinti che ci si debba liberare da Dio e dalla Chiesa e dunque abitiamo in terra di missione?

Sì, anche, ma non solo. La nostra missione ha almeno altri due grandi motivi:

{C}a)          la secolarizzazione della società occidentale (soprattutto europea).

Dal rinascimento in poi sono state elaborate diverse visioni del mondo e della storia che prescindono da Dio ed esaltano l’uomo, la sua libertà e la sua soggettività, al centro di tutto. Questo processo ha permesso di purificare diversi aspetti infantili, superstiziosi o ingenui della pratica religiosa, ma ha anche indotto molti a considerare la fede cristiana non più necessaria alla realizzazione del l’uomo; una tra le opinioni possibili; un sentimento religioso da tenere privato, riservato, per non violare la libertà degli altri di fare tutte le scelte possibili. La secolarizzazione è oggi in via di esaurimento e, come dopo uno tsunami, ci lascia sulla spiaggia i rottami di tante cose distrutte: un vuoto di valori etici oggettivi e universali, un nichilismo che spaventa i suoi stessi sostenitori. Ma resta anche un certo “ritorno del religioso”, perché in molti c’è bisogno di una identità che rispetti tutte le dimensione dell’umano (spirito, anima e corpo) e c’è il desiderio di avere quelle risposte ai grandi problemi esistenziali che non hanno saputo dare la scienza e la politica, l’economia e i movimenti culturali contemporanei. C’è dunque un deserto su cui stiamo camminando, ma ci sono tante possibilità di scavare e trovare fonti di acqua. Sotto la superficie di tante opposizioni e indifferenze, c’è il desiderio di un messaggio di vita, di bene, di un amore che non finisca, c’è un desiderio di Dio che il Vangelo può colmare.

I nostri sono tempi favorevoli alla missione.

 

{C}b)          La missione poi ha una ragione intrinseca alla natura stessa della Chiesa.

Dice la Redemptoris missio al n. 9. “Prima beneficiaria della salvezza è la Chiesa: il Cristo se l’è acquistata col suo sangue (cf. At 20,28) e l’ha fatta sua collaboratrice nell’opera della salvezza universale. Infatti, Cristo vive in essa; è il suo sposo; opera la sua crescita; compie la sua missione per mezzo di essa. Il Concilio ha ampiamente richiamato il ruolo della Chiesa per la salvezza dell’umanità. Mentre riconosce che Dio ama tutti gli uomini e accorda loro la possibilità della salvezza, (cf. 1 Tm 2,4; AG 3) la Chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza: «Tutti gli uomini, quindi, sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio…, e a essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli uomini universalmente, chiamati a salvezza dalla grazia di Dio» (LG 48; 13). … Così ha voluto Dio, e per questo ha stabilito e coinvolto la Chiesa nel piano della salvezza.

E ancora la n. 27: “Gli Atti indicano che la missione, indirizzata prima a Israele e poi alle genti, si sviluppa a molteplici livelli. C’è innanzi tutto il gruppo dei Dodici che come un unico corpo guidato da Pietro proclama la buona novella. C’è poi la comunità dei credenti che col suo modo di vivere e di operare rende testimonianza al Signore e converte i pagani. (At 2,46) Ci sono ancora gli inviati speciali destinati ad annunziare il Vangelo. Così la comunità cristiana di Antiochia invia i suoi membri in missione: dopo aver digiunato, pregato e celebrato l’eucaristia, essa avverte che lo Spirito ha scelto Paolo e Barnaba per essere inviati (At 13,1).

Alle sue origini, dunque, la missione è vista come un impegno comunitario e una responsabilità della Chiesa locale, che ha bisogno appunto di «missionari» per spingersi verso nuove frontiere. Accanto a quelli inviati ce ne erano altri, che testimoniavano spontaneamente la novità che aveva trasformato la loro vita e collegavano poi le comunità in formazione alla Chiesa apostolica. La lettura degli Atti ci fa capire che all’inizio della Chiesa la missione ad gentes pur avendo anche missionari «a vita» che vi si dedicavano per una speciale vocazione, era di fatto considerata come il frutto normale della vita cristiana, l’impegno per ogni credente mediante la testimonianza personale e l’annunzio esplicito, quando possibile”.

La Chiesa o è missionaria o non è.

 

L’ANNUNCIO DEL VANGELO

 

I. Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo

 

Papa Francesco nel Cap III dell’Evangelii Gaudium [nn. 111-134] fa una affermazione che dovrebbe essere scontata, invece mi sembra il nodo principale anche dal punto di vista della pastorale ordinaria della nostra diocesi: “L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio.”

 

Quello che ancora mi pare non sia entrato del tutto nella nostra coscienza attuale di cristiani è la radicale novità del capitolo II della Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa. Non è stato solo rovesciato il modello piramidale (in cima i chierici, sotto tutti i laici), ma è stata ripensata la logica che governa il corpo ecclesiale. “Al primo posto non sta tanto il fare, ma l’essere; la grazia e non chi la comunica; la dignità dei battezzati e non i ruoli e le funzioni nella Chiesa. Come a dire che il titolo più grande di appartenenza alla Chiesa non è una funzione, anche la più alta, ma l’essere figli di Dio, tutti fratelli in Cristo, costituiti in una radicale uguaglianza che non livella, ma porta a pieno compimento la vita in Cristo di tutti e di ciascuno”.

 

Questo capovolgimento ha delle ricadute importantissime sul rapporto costitutivo tra “il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico” (LG 10), dove il ministero ordinato (Vescovo, presbiteri, diaconi) è a servizio del sacerdozio comune (esercitato da tutti fedeli, ministri compresi). Sono infatti necessari entrambi e complementari, ma è la condizione battesimale che è causa di uguaglianza e via di salvezza per tutti. Come diceva già Agostino: “Nel momento in cui mi dà timore l’essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza”.

 

Ha una ricaduta sulla universale vocazione alla santità “di tutti i fedeli di ogni stato e condizione” (LG 11), non solo dei consacrati o degli ordinati.

 

Ha una ricaduta sul tema dei laici, che non sono più identificati con il “popolo” dei fedeli chiamati a collaborare con la “gerarchia”(= laici sotto i chierici). Perché “il mistero della Chiesa si attua nel cammino del popolo di Dio verso il Regno. In questo popolo diverse sono le vocazioni, le funzioni e gli stati di vita (descritti nei capitoli II, IV, e VI di LG), ma l’enfasi non cade più sulle differenze, quanto sulla radicale uguaglianza di tutti i membri di questo ‘popolo messianico’ (LG 9) … Il popolo di Dio costituisce la trave portante di quel nuovo modello di Chiesa che il Concilio ha faticosamente, ma coraggiosamente elaborato”.

 

Perché questa fatica ad accogliere un dato così importante della nostra fede nella Chiesa? Non solo per le normali e prevedibili resistenze storiche dei chierici a cedere spazi e funzioni, ma perché nel post-concilio il tema è stato preso come una bandiera ideologica di una “chiesa democratica” contro la “chiesa gerarchica”; è stato usato nello scontro tra carisma e istituzione ed è stato segnato dalla polemica sulla libertà nella Chiesa. Il Sinodo del 1985 prese le distanze dall’ecclesiologia del popolo di Dio e scelse di mettere al centro l’ecclesiologia di comunione come chiave di interpretazione del Concilio. Era quella l’urgenza in quel momento.  In questa linea andranno anche il Sinodo del 1987 e l’esortazione apostolica successiva Christifideles laici (1988) dove sono rilanciati tanti aspetti del Concilio, ma il tema centrale non è più l’uguale dignità dei membri della Chiesa sulla base del primato della grazia, ma la partecipazione dei laici alla missione della Chiesa in nome del principio di collaborazione con la gerarchia. I temi del sacerdozio comune, il senso della fede di tutti i credenti, i carismi, i gradi di appartenenza alla Chiesa, sono in secondo piano o trattati con prospettive diverse rispetto al Vaticano II.

 

Ma ecco che appare all’orizzonte l’esortazione programmatica di Papa Francesco l’Evangelii Gaudium, che riprende le fila del discorso interrotto da anni e rilancia l’ecclesiologia del popolo di Dio, un popolo dai mille volti, chiamato ad annunciare il Vangelo nel mondo attuale. L’Evangelii Gaudium è la continuazione diretta, in questo senso, della Lumen Gentium, e della scelta conciliare di affermare la natura missionaria di tutta la Chiesa (LG 17), con un compito che è costitutivo e impegna tutti i battezzati qualsiasi vocazione particolare abbiano: laici e sposati, consacrati e monaci, presbiteri, diaconi e vescovi…

 

Adesso anche noi, popolo di Dio di Ravenna–Cervia, attento ai segni dei tempi, per muoverci in sintonia con ciò che lo Spirito suggerisce alle Chiese oggi, vogliamo rimetterci in cammino come ‘popolo messianico’ che pur apparendo come “un piccolo gregge, è però per l’intera umanità germe sicurissimo di unità, di speranza e di salvezza” (LG 9). 

(in allegato il documento integrale)

 

+Lorenzo, Arcivescovo